mercoledì 20 marzo 2013

Antologia della disinformazione in Italia sulla DECRESCITA


La primavera è arrivata in anticipo. Da giorni è in corso una prematura fioritura di improvvisati esegeti della disinformazione sulla Decrescita, che con dovizia di boriosi luoghi comuni si adoperano strenuamente per fornire alla vil plebe una gran quantità di informazioni. Puntualmente sbagliate. Si parte subito con i sofismi circa l’infelicità che la Decrescita addurrebbe, riconducendo l’Umanità al baratto e al vivere in condizioni cenozoiche in cui non ci resterebbe che nutrirci di bacche, muschi e licheni, passando i pomeriggi ad affilare la selce e recuperando la perduta e affascinante tradizione della caccia al Mammut.
Questo almeno è quello che si deduce leggendo recenti articoli comparsi su vari quotidiani a tiratura nazionale (Corriere della Sera, Libero, Il Giornale, l'UnitàRepubblica, Il Fatto Quotidiano) e in alcuni programmi tv di prima serata (Servizio Pubblico, Se Stasera Sono Qui), in cui il concetto di fondo, ripetuto come un mantra (in modo pi& ugrave; o meno esplicito) è: “La decrescita è sempre infelice”.
Il che è verissimo se si confonde decrescita con recessione per fare disinformazione e se non si capisce la differenza tra crescita dell’economia e crescita dei consumi. Sono cose molto diverse.
Non tutti i consumi sono da condannare, nessuno vuole che voi vi nutriate di radici e lombrichi, nessuno vuole la povertà, ci mancherebbe altro. Ma ormai è tardi: l’ombra del Mammut avanza, lo spettro del Pleistocene aleggia: lasciate ogni speranza o voi che decrescete.
Forte di queste salde premesse, la critica alla Decrescita si evolve (oserei dire “cresce”) su specchi lucidissimi su cui però risulta facile arrampicarsi: basta citare a caso Keynes e Malthus (evitando accuratamente di citare Mumford), far notare che Latouche non è un economista (perciò che si faccia gli affari suoi), e pararsi il c…osiddetto con l’alibi per eccellenza dei sostenitori dello status quo: la Crisi.
Io invece sono dell’idea che proprio perché c’è la crisi occorra evitare di dire monumentali sciocchezze, se non altro per mere questioni di opportunità (non credo ci si possa appellare alla decenza in certi casi). Ne va della nostra dignità di persone intelligenti e pensanti. Da qui nasce dunque la mia personale battaglia contro la banalità imperante.
Un esempio? “Decrescita”, come accennato più volte, è spesso confusa (è un classico dei disinformatori più o meno inconsapevoli) con "Recessione", ma a superare in banalità questo sesquipedale luogo comune ci ha pensato di recente l’On. Carfagna, affermando con sicumera (in diretta tv) che la Decrescita altro non è che “una sorta di ritorno ad una condizione agreste-bucolica"

Al di là dell’imbarazzo e della tenerezza che queste affermazioni peregrine e ingenue suscitano, duole ancora una volta constatare l’incredibile esattezza della fulminante massima di Ennio Flaiano:
“in Italia la situazione è grave, ma non è seria”.
A fare sul serio però sono altri, di cui si può difficilmente parlare di errori in buonafede.
“Decrescita vuol dire genocidio” (nientemeno), affermano da Casapound, dove prima di usare in qualsivoglia contesto la parola “genocidio” dovrebbero pensarci due volte, poi altre due, infine altre due e poi eclissarsi per alcuni decenni, ibernandosi.
Nel tentativo di delegittimare la Decrescita, Stefano Feltri sul FQ derubrica la Decrescita ad “una forma di espiazione per gli eccessi del consumismo” (sic!), citando a sproposito Malthus come profeta antesignano della Decrescita (????) e sottolineando che essa “non applica un approccio scientifico (all'economia ndr), ma etico”, lasciando intendere dunque che l'economia sia una scienza esatta al pari della Fisica o dell’Astronomia.

Portando questo assunto alle sue logiche conclusioni, si dovrebbe desumere che in quanto scienza, l’economia dovrebbe per forza di cose fare i conti con la realtà del mondo fisico.
Peccato che ciò si traduca nell’implosione istantanea del mito della crescita fine a se stessa, ovvero dell’economia come fredda contabilità in cui chi consuma di più è automaticamente il più benestante: nulla di più lontano dalla realtà. Ma la realtà esiste (parafrasando Parmenide), dunque prima o poi bisogna affrontarla: ecco il nodo che la Decrescita pone come termine centrale del dibattito.
Ha senso produrre e crescere senza nessun parametro qualitativo in un mondo dalle risorse limitate in cui lo spreco e l’iniquità dell’attuale modello produttivo è sotto gli occhi di tutti? La risposta parrebbe essere “sì”, stando a coloro che ignorano i fatti e preferiscono cullarsi nella comodità dei preconcetti, dandone peraltro sfoggio in pubblico.
Ecco a voi, a grande richiesta, la Top Five della settimana:

  1. Decrescita = miseria, terrore, cavallette, pioggia di fuoco. 
    Decrescere significa
    Ridurre, Riutilizzare ecc. non significa stare peggio e con meno soldi, vivendo al lume di candela.

    Se
    riparo qualcosa non la ricompro nuova, e il PIL cala, ma sia io, sia l’ambiente, sia l’economia ne gioviamo subito dopo. Questo perché la decrescita porta ad un risparmio (sia privato che pubblico), finalizzato non solo alle logiche di rispetto ambientale, ma anche e soprattutto economiche: una persona (o uno stato) che risparmia sulle cose inutili ha più capacità di compiere investimenti utili. Decrescita Felice non vuol dire “meno è meglio”, ma “meno e meglio”.
  2. La Decrescita è un’utopia, un sogno irrealizzabile.
    Le Transition Town esistono in tutto il mondo e da anni applicano i principi della Decrescita con successo. È semmai la crescita senza criteri ad essere un’utopia.
  3. Siete contro lo sviluppo e contro ogni consumo.
    La Decrescita è una forma alternativa e sostenibile di sviluppo, che porta alla vera ed unica crescita che ci serve: quella del benessere.
    Consumare è lecito e anche giusto
    , (chi non consuma nulla muore: lo sa bene chi non ha nulla da mangiare) ma
    non c’è sviluppo economico senza crescita del benessere, e senza una strategia di cosa produrre e perché produrlo. Ecco perché la crescita turbocapitalista è un modello fallimentare.
    Se il PIL cresce per la produzione di case ecosostenibili, va bene, viva il PIL. Ma finiamola con la retorica delle grandi opere “sennò il paese non cresce”.
  4. Volete riportarci a vivere nelle caverne. 
    Decrescita è il contrario esatto di Recessione. Da vent’anni assistiamo impotenti non ad una virtuosa riduzione dei consumi inutili legata ad una decrescita felice, ma al criminale sperpero di risorse e denaro di una crescita demenziale (poco felice) che ha favorito solo le élite, e che ha contribuito all’attuale spirale recessiva.
  5. Con la Decrescita tutti disoccupati
    La messa in sicurezza di territorio ed edifici, così come il risparmio energetico e il riciclo di materiali creano 100 volte i posti di lavoro di TAV e Pontisuglistretti.
    A conti fatti, potremmo chiamare la Decrescita come una Buona Crescita (così forse la smetterebbero di fare del catastrofismo apocalittico ogni qual volta la si nomina).
    Così, il punto non può essere se si cresce o se non si cresce, ma in cosa si cresce ed in cosa si decresce. È così semplice da capire. Ma in fondo è più facile fare del “luogocomunismo” (copyright Alberto Bagnai), piuttosto che informarsi.

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