venerdì 31 maggio 2013

E voi mangiate ancora cadaveri ? (La rivoluzione della società "cruelty free")

"Auschwitz comincia quando di fronte a un mattatoio pensiamo che sono solo animali".
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La storia dell’oppressione animale è di lunga data, ma la relazione dei vari gruppi umani con gli altri animali è in continua evoluzione. Non è affatto statica come si vorrebbe far credere. Di certo, la violenza ha assunto scala industriale e un’organizzazione scientifica del dominio sui corpi e sulle vite delle vittime di questo sistema. Si calcola che ogni anno vengano «allevati» (agli animali definiti da allevamento sono negate tutte le attività vitali) o catturati e uccisi, per l’alimentazione umana, circa 50 miliardi di individui. Tutto avviene, almeno nei paesi occidentali, nell’indifferenza generale: gli animali sono ridotti ad oggetti, la vita è mercificata. 
Per questo dobbiamo avere il coraggio di ripensare i nostri rapporti con gli altri ospiti della Terra: gli animali e le piante. Una via d’uscita è possibile a passa attraverso una nuova e più estesa nozione di libertà e di rispetto per l’altro, attraverso un’idea di giustizia che includa tutto il vivente. Nello sguardo infelice degli animali che torturiamo dovremmo imparare a scorgere la sofferenza di tutti gli oppressi, umani e non. Di questo parliamo, quando pensiamo a una società cruelty free.

Nel mondo dell’animalismo, circolano numerose frasi di filosofi, pensatori, scrittori a proposito degli animali, dei soprusi che subiscono, del rispetto che meriterebbero. Si tratta di personaggi importanti, autori di opere o scoperte fondamenti. Penso a Leonardo da Vinci e Pitagora, ad Albert Einstein, Emile Zola e molti altri. I pensieri più importanti, più acuti, quelli che aprono maggiori prospettive, legano la sorte inflitta agli animali a una prospettiva di liberazione per tutti, animali umani e non umani, in una logica di rispetto per la vita e la dignità di tutti i viventi. due esempi per tutti: Theodor Adorno e Marguerite Yourcenar. Il filosofo tedesco diceva: Auschwitz comincia quando di fronte a un mattatoio pensiamo: sono solo animali. Secondo la scrittrice francese: Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero men o animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz’acqua dirette al macello.
Sono parole importanti, spunti di riflessione che non possono essere eluse da chi si batte, con i propri mezzi, nel proprio ambito, quale che sia, per un ideale di giustizia e di uguaglianza.
La citazione che io preferisco e che voglio usare come punto di partenza per il mio intervento è tuttavia un’altra e ci porta a un letterato, Isaac Bashevis Singer, grande scrittore ebreo che fu premio nobel per la letteratura nel 1978. Singer – da non confondere con il Singer, Peter, autore di Liberazione animale – diceva che i diritti animali sono la forma più pura di difesa della giustizia sociale, perché gli animali sono i più vulnerabili di tutti gli oppressi.
La mia esperienza di cittadino e di attivista è maturata nel corso degli anni, è partita dalla nonviolenza e si è manifestata nel corso del tempo in varie forme: l’obiezione di coscienza al servizio militare, la scelta vegetariana e poi vegana, la difesa dei diritti umani e delle libertà civili e negli ultimi anni, appunto, l’impegno anche per la giustizia nei confronti degli animali non umani. Anche, e non in alternativa ai diritti umani.
Gandhi, Capitini, Tolstoj
Un tempo anch’io, come tanti, pensavo che i diritti umani fossero una cosa e i diritti animali o come vogliamo chiamare l’impegno per la tutela della loro dignità, fosse un’altra cosa. Due mondi destinati a correre separati. Col tempo mi sono convinto che si tratta in realtà di due aspetti di una stessa lotta contro l’ingiustizia, proprio come diceva Isaac singer. E come dicevano, del resto, Adorno e Yourcenar nelle due frasi che ho citato poco fa, e tanti altri con loro, da Gandhi ad Aldo Capitini, da Max Horckheimer e Lev Tostoj quando ci ricordava che Dall’uccidere gli animali all’uccidere gli uomini il passo è piccolo.
La storia dell’oppressione animale è di lunga data, anche se non ha sempre accompagnato la storia dell’umanità: possiamo farla risalire alla rivoluzione neolitica, alla sedentarizzazione dei nostri antenati e alla domesticazione di alcune specie animali. Le relazioni dei vari gruppi umani con gli altri animali sono state e continuano ad essere molto varie, a seconda delle epoche storiche, dei diversi sviluppi culturali, filosofici e religiosi. E’ una relazione in continua evoluzione. Non è affatto statica come si vorrebbe far credere.
Possiamo però dire che l’epoca attuale è la più tragica, la più dolorosa, la peggiore per la quantità e il tipo di sofferenza inflitta agli animali non umani. La violenza e l’oppressione hanno assunto scala industriale e un’organizzazione scientifica del dominio sui corpi e sulle vite delle vittime di questo sistema. Si calcola che ogni anno vengano allevati o catturati e uccisi, per l’alimentazione umana, circa 50 miliardi di individui. La filiera di produzione del cibo ha oggi caratteristiche totalitarie: agli animali destinati a diventare alimenti sono inflitte condizione di vita impossibili, verrebbe da dire condizioni disumane, ma il professor Lombardi Vallauri ci ha insegnato a definire queste vessazioni come “troppo umane”, per indicare un’assuefazione alla violenza che &egra ve; un tratto tipico delle società industriali contemporanee.
Agli animali definiti da allevamento sono negate tutte le attività vitali. Negli allevamenti non esistono rapporti sessuali – la riproduzione avviene esclusivamente con reiterate inseminazioni artificiali, ripetute fino alla consunzione delle femmine, che vengono scartate e soppresse una volta scese al di sotto di certi indici di produttività come fattrici. L’alimentazione è forzata e non ha più nulla a che vedere con le inclinazioni fisiologiche: gli erbivori non sono nutriti con l’erba, ma con cereali a volte addirittura con farine animali, al fine di farli crescere e ingrassare più in fretta. L’uso di antibiotici e altri medicinali non è un’eccezione e nemmeno una possibilità, bensì una regola, una necessità, per mantenere “sani” – si fa naturalm ente per dire – animali costretti a vivere in ambienti sovraffollati, innaturali, autentici luoghi di tortura.
La vita è mercificata
Tutto questo avviene con un’organizzazione implacabile: si è creata, nell’indifferenza generale, una gigantesca macchina di nascite forzate e soppressioni di massa. Gli animali sono ridotti ad oggetti, la vita è mercificata.
Il messaggio che ci arriva dalla società industriale, dal suo apparato culturale e di comunicazione, è che tutto ciò non costituisce un problema, che questa è la sorte degli animali, che le necessità degli uomini, o meglio dei consumatori, devono essere soddisfatte ad ogni costo ed anzi vanno stimolate, moltiplicando i consumi di carni, latte, derivati animali. E la megamacchina che dicevo è il modo più rapido ed efficiente per raggiungere questo scopo.
In questo modo stiamo disprezzando la vita, stiamo privando della loro dignità esseri senzienti, perfettamente coscienti di quel che viene loro inflitto. L’osservazione di Adorno – Auschwitz comincia quando di fronte a un mattatoio pensiamo che sono solo animali – è un pensiero che sconvolge e che si ha la tentazione di respingere, di rifiutare di fronte all’orrore assoluto della shoah. Ma sono stati proprio pensatori, scrittori, filosofi ebrei, e anche molti scampati ai campi di sterminio, a proporci questo accostamento. E sono stati gli storici a mostrare l’affinità, o meglio il filo diretto che lega i mattatoi di Chicago, dove fu inventata la catena di smontaggio degli animali – da un lato entravano i treni carichi di animali vivi, dall’altro uscivano i treni carichi di scatolette e quarti di bue -, alla catena di montaggio della moderna fabbrica industriale – Henry Ford si ispirò proprio ai mattatoi di Chicago per la sua prima fabbrica di automobili – e dalla fabbrica fordista ai campi di sterminio nazisti. Basta accostare le fotografie di queste tre diverse strutture per coglierne le grandi somiglianze, anche architettoniche e di organizzazione interna (e del resto Hanry Ford fu un autentico trait d’unione, da orribile antisemita qual era e da industriale molto ammirato da Adolf Hitler, che lo cita nel suo Mein Kampf).
Un vero dominio
Se osserviamo la sorte inflitta nel corso della storia agli animali non umani, e ci soffermiamo in particolare su come vengono trattati oggi nella società contemporanea, vediamo scorrere in filigrana la storia sempre più dura e sempre più crudele di un dominio. Gli animali, come ci diceva Bashevis Singer, sono i più indifesi fra gli oppressi. Vengono trattati così non perché siano predisposti all’oppressione e allo sterminio, non perché siano creature “naturalmente” a disposizione dell’animale umano, ma per un semplice rapporto di forza: vengono trattati così, perché è possibile trattarli così.
E’ ciò che hanno sperimentato nella storia, e tuttora sperimentano, innumerevoli gruppi umani, oppressi di volta in volta con motivazioni culturali o politiche o sociali, ossia per le differenze di lingua, di credo religioso, di origine geografica; o per mera convenienza all’interno di relazioni di potere in famiglia, sul posto di lavoro, nella società.
L’oppressione degli animali ha una grande legittimazione ideologica, viviamo nella società che è stata chiamata del “carnismo”: una società nella quale viene vissuto come ovvio e scontato lo sterminio sistematico degli animali non umani. Ma la mercificazione della vita è un tratto universale di questa società e riguarda gli animali umani e tutto il vivente. Viviamo nella società che sta percorrendo di gran carriera la strada dell’autodistruzione: siamo minacciati dalla bomba atomica, dal cambiamento climatico, dalla privatizzazione di risorse vitali come l’acqua e l’aria. In questa folle corse vengono triturati e strumentalizzati anche gli ideali più alti: la bandiera dei diritti umani è alzata sistematicamente, nella nostra parte di mondo, per giustificare azioni di guerra e occupazioni militari.
Oggi dobbiamo ripensare la posizione dell’umanità sul pianeta. I suoi rapporti con gli altri ospiti della Terra: gli animali e le piante. Dobbiamo pensare a un futuro comune, a un radicale cambio di rotta rispetto alla strada sulla quale tutti noi ci troviamo a camminare. Una via d’uscita è possibile a passa attraverso una nuova e più estesa nozione di libertà e di rispetto per l’altro, attraverso un’idea di giustizia che includa tutto il vivente. Perciò la questione animale è anche la questione dei diritti umani, del diritto alla vita, del diritto al futuro.
Nello sguardo infelice degli animali che torturiamo dovremmo imparare a scorgere la sofferenza di tutti, nella lotta per liberarli una lotta per la liberazione di tutti gli oppressi, umani e non umani. Di questo parliamo, quando pensiamo a una società cruelty free.

Intervento durante il Premio Sganga, Terra futura 2013 (Firenze, 18 maggio). Fonte: http://lorenzoguadagnucci.wordpress.com/.
Letture consigliaiate:
Riusciamo a sopportare la schiavitù degli «animali umani», chi volete che si preoccupi per quella di un vitello che non vota, non fa nulla per liberarsi e nemmeno riesce a protestare?
Come possano esserci così pochi vegetariani? È un mistero. La forza dell’abitudine, la scarsa sensibilità del pubblico in generale rispetto alla sofferenza degli animali, la poco radicata coscienza ecologica, la mancanza di voglia di cucinare, il gusto di divorare cadaveri, “carne cara data vermis”, carne cara data ai vermi, “ca -da-ver”, sarà che ci piace moltissimo comportarci come i vermi, e in più divorare animali torturati.
Indignarsi per la fame nel mondo o per le corride, per il consumo della carne di cane in Corea o per la strage di cuccioli di foca in Canada, e non visitare mai un macello o non conoscere le condizioni del bestiame nelle stalle e non sapere quello che le bestie mangiano…e poi continuare comunque a mangiare carne, è qualcosa che non quadra. Non possiamo vedere soffrire gli animali fino al punto da voltarci da un’altra parte. Ci fanno pena, poverini, così li mangiamo.
La verità è che le testimonianze che forniamo a proposito della sofferenza degli animali non umani sono risibili. Gli studiosi delle specie, come tutti i razzisti, guardano da un’altra parte, mostrano la loro faccia solo quando il problema li tocca da vicino. Allora cominciano a parlare di filiere, a chiedersi se anche i pesci soffrono e cose simili. Per portare gli ascoltatori divertiti dalla loro parte. Non parlano assolutamente delle condizioni delle aziende produttrici di uova e latte industrializzati. Vogliono vivere tranquilli. Ci mancherebbe altro!
Il boicottaggio generalizzato dei prodotti alimentari di origine animale aggraverebbe la crisi, potrebbe addirittura far scoppiare la rivoluzione. Tenere un cane da compagnia diminuisce la pressione, mangiare un vitello di allevamento la fa salire. Sono cose compatibili. G.B. Shaw disse che al suo funerale dovevano essere presenti agnelli, mucche e vitelli, maiali e polli, e poi un intero branco di pesci, in segno di gratitudine per non averli mangiati. G.B. Shaw chiaramente scherzava, comunque era vegetariano.
Lo spreco non è solo questione di immoralità, ma anche di altre cose. 100 grammi di carne di bue hanno bisogno di 500 grammi di cereali, 2000 litri di acqua, un litro di benzina e il consumo di 3 chili e mezzo di terra arabile. D’altra parte, prestare attenzione alla quantità di metano, purina e merda che viene prodotta è, oltretutto, di cattivo gusto. Meglio non saperlo.
Non abbiamo abbastanza altruismo per liberare gli “animali umani” schiavizzati, quindi chiedere la liberazione animale è come chiedere la luna. Gli animali non umani non possono chiedere la propria liberazione, né indignarsi, né protestare, non possono votare, né fare sciopero. Le cose stanno prendendo una brutta piega: continuare a torturare gli animali non ci sembra del tutto un male, allo stesso modo torturare “ animali umani” non ci scandalizza come dovrebbe. Non so. So che diventare vegetariano costa un occhio della testa, ma resta un inizio. Solo che di inizi possibili, a livello individuale, non ce ne sono tanti da poterli rifiutare a cuor leggero.
Un altro modo per dire che possiamo scialacquare con una mano ed esigere austerità con l’altra, è dire che pensiamo da vegetariani e viviamo da carnivori. Questo è il motivo per cui in noi l’etica e la tecnica non corrono mai in direzione parallela. Vogliamo essere tanto buoni, come i buoni pastori, ma nello stesso tempo vogliamo vivere bene come i proprietari di allevamenti. Questo dualismo ha come effetto il fatto che tutte le attuali discussioni sull’etica abbiano un retrogusto di falsità.
Quale di queste domande ci da più fastidio? “Soffrono gli animali?” oppure “Con più vegetariani ci sarebbero meno fame e più giustizia nel mondo?”Con la imposizione dei tagli, è come se dicessero che la sofferenza degli “animali umani” non è poi tanto importante, come se l’avere un po’ fame non sia poi un gran male per la nostra salute.
I vegetariani somigliano agli obiettori di coscienza, stancano un po’: quando si siedono alla mia tavola, devo aver fatto uno sforzo al supermercato e in cucina, e dopo, nelle chiacchiere del dopo pranzo, devo pure sentirmi spregevole per non essere vegetariano, sarà per questo. Ramón, stanco di ricevere lezioni, diceva che i vegetariani non accettano che trasfusioni di sangue di barbabietola.

Traduzione per Comune-info Massimo Angrisano

Porco amore
La letteratura sulla tenace battaglia degli animali umani che rifiutano il pasto dei cadaveri è nota e sterminata. Qui vogliamo limitarci a suggerire a chi, magari non è vegetariano, ma almeno evita di far finta di non vedere la lettura di poche pagine molto intriganti. Vorreste sapere perché è proprio il maiale a scatenare il nostro lato più crudele? Ve lo dice “Porco amore”, lo straordinario capitolo 8 del libro di Gabriela Wiener: “Corpo a corpo”. Storie di giornalismo gonzo. La Nuova Frontiera 2012




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