lunedì 21 aprile 2014

8 mq al secondo. Salvare l’Italia dall’asfalto e dal cemento SI DEVE !

Copertina Finiguerra    8 mq al secondo. Salvare l’Italia dall’asfalto e dal cemento. di Domenico Finiguerra, EMI Editrice Missionaria Italiana, 64 pagine, 4,50 euro.

«Otto metri quadrati al secondo è il ritmo con cui viene asfaltata e cementificata la bellezza, la biodiversità, l’agricoltura e la cultura del nostro paese. Un’aggressione silenziosa e costante che ha però trovato in numerose città, paesi e angoli talvolta remoti e nascosti, chi è determinato a contrastarla. Una resistenza al cemento che è urgente allargare a macchia d’olio affinché sempre più cittadini italiani prendano coscienza della gravità e irreversibilità di quanto sta accadendo. Cittadini consapevoli che forse resteranno per sempre una minoranza. Ma la storia, può capitare anche che la facciano le minoranze…».

Inizia così un libro appena pubblicato dalla EMI per la collana Emisferi dedicato al nostro mondo com’è e come lo vorremmo.

L’Autore non ha probabilmente bisogno di particolari presentazioni, perchè si tratta di Domenico Finiguerra, l’ormai “mitico” Sindaco di un piccolo comune dell’hinterland milanese diventato il simbolo di una utopia che diventa realtà, trasformando il percorso di revisione del proprio Piano di Gestione del Territorio (equivalente del Piano Regolatore) in un lungo dibattito partecipato a tutti i cittadini e in un finale apparentemente insolito: la crescita zero urbanistica scelta come opzione per una nuova socialità.

Il Comune è Cassinetta di Lugagnano, il luogo in cui nel gennaio del 2009 è nato ilMovimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e dove nell’ottobre 2011 ha preso forma il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, a simboleggiare un “metodo” di nuova democrazia applicato alla salvaguardia del territorio come bene comune e a sovranità popolare.
Domenico ora, dopo 10 anni, è un ex Sindaco ma continua ad incarnare le vesti del leader del progresso e della democrazia ambientale e in queste settimane si è impegnato in prima persona, come candidato, per le imminenti elezioni europee, autosospendendosi da ruoli di rappresentanza all’interno dei Movimenti nel pieno rispetto delle semplici regole che suggeriscono la non sovrapponibilità con posizioni interne a schieramenti in momenti elettorali, perchè i Movimenti non sono “di parte” e devono mantenere il massimo dell’equilibrio.
8 mq al secondo” è innanzitutto un atto di amore, un grido profondo che Domenico esprime partendo dalla consapevolezza che nel nostro Paese l’informazione mainstream è riuscita a sedimentare l’idea che «quanti si oppongono alla devastazione del territorio (sia essa una grande opera o una speculazione edilizia) sono degli estremisti e sono diametralmente dall’altra parte rispetto ai «politici delle larghe intese, cioè quelli del fare (a modo loro), che sono invece dei moderati responsabili». La realtà dei fatti ci dice l’esatto contrario. E sono dati scientifici, rilevazioni inconfutabili che devono farci riflettere e concludere con una verità assolutamente capovolta: «i veri moderati di questo paese non sono i costruttori, ma sono proprio i cittadini, gli intellettuali, i comitati che difendono il territorio e che pretendono che il passaggio dell’uomo sulla terra sia lieve e, appunto, moderato. Sono moderati e rispettosi dell’enorme patrimonio che la Costituzione ha deciso di tutelare con il suo art. 9. Moderati e rispettosi delle risorse naturali, paesaggistiche e culturali che dovremmo rimettere nelle mani delle prossime generazioni affinché ne possano trarre beneficio, lontano da gru e betoniere».
I dati su cui riflettere sono ormai ben noti: a fronte di una media dei paesi Ue del 4,3%, in Italia il suolo già impermeabilizzato raggiunge il 7,5% della superficie nazionale. Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) l’erosione dei terreni liberi e fertili in Italia viaggia ad un ritmo di 8 mq al secondo: 8 mq al secondo, moltiplicati per i secondi di un anno, che sono 31 milioni e 536.000, ci danno 252.288.000 mq. Ovvero oltre 252 kmq.: «un quadratone dal perimetro di 63,2 km: 15,8 ogni lato. Ecco! Quel bel quadratone è la quantità di terra che ogni anno consumiamo in Italia».
Lungo il litorale adriatico l’urbanizzazione è avanzata a un ritmo impressionante: 10 km l’anno. Seconde case, villette, condomini e alberghi hanno ormai sigillato oltre i 2/3 della costa. L’intera fascia costiera misura 1472 km, da Trieste a Santa Maria di Leuca. Nel 1950 era libera per 944 km; oggi è rimasta non urbanizzata per soli 466 km.
«Ma oltre i crudi dati quantitativi, aiuta molto a descrivere il fenomeno l’esperienza personale di ciascuno di noi. Come sono cambiati gli scenari delle nostre passeggiate? Che fine hanno fatto i campi dove eravamo soliti vagabondare nei pomeriggi della nostra adolescenza?» domanda Domenico che ricorda come quelle terre fertili perdute per sempre rappresentino anche l’indebolimento grave della nostra sovranità alimentare: «la superficie agricola utilizzata, negli ultimi 40 anni, è scesa del 28%. Se nel 1991 avevamo un’autonomia alimentare che superava il 92%, in vent’anni l’abbiamo vista costantemente scendere fino a quota 80% (nel 2010). Oggi l’Italia ha un grado di auto-approvvigionamento che ruota attorno ai 4/5 del fabbisogno alimentare. Inoltre l’Italia è il terzo paese in Europa e il quinto nel mondo nella classifica del deficit di suolo. Per garantire i nostri consumi e gestire lo smaltimento dei nostri rifiuti (impronta ecologica) ci servirebbero 61 milioni di ettari di suolo libero. Ce ne mancano 49.Disponiamo infatti di meno di 13 milioni di ettari (ne avevamo 18 milioni nel 1971!). Proseguendo a questo ritmo, saremo sempre più dipendenti dalla produzione di altri paesi e dovremo sempre di più piazzare i nostri rifiuti altrove».

Gli esempi critici non mancano e toccano anche il fenomeno delle terre contaminate, come quelle della “Terra dei Fuochi” e la questione del modello di sviluppo del nostro Paese, ben rappresentata dal dilemma-ricatto cui intere comunità sono state poste di fronte in più di mezzo secolo: l’alternativa tra morire di fame o morire di fumo.

Ma anche il cronico problema del dissesto del territorio causato da alluvioni e frane: «Dal dopoguerra ad oggi i governi che si sono succeduti hanno dovuto far fronte adoltre 61 miliardi di euro di danni causati dal dissesto idrogeologico. Una media di circa 1 miliardo di euro all’anno. Dal rapporto sul dissesto idrogeologico redatto da Ance e Cresme nel 2012, i comuni a elevata criticità idrogeologica sono 6.631, l’89,1% del totale, per una popolazione potenzialmente a rischio pari a 5,8 milioni di persone. Gli edifici a rischio, invece, sono 4,2 milioni, di cui 3,9 milioni abitazioni e 34.000 capannoni. Numeri da capogiro».
Senza dimenticare il fenomeno dell’abusivismo, “semplice punta dell’iceberg”.
Ma «i nuovi agglomerati urbani, le nuove periferie, le nuove infrastrutture di collegamento (quasi esclusivamente per il trasporto privato), i nuovi piani regolatori che sommati l’uno all’altro hanno dato vita a vere e proprie megalopoli, sono oggi palcoscenici dove i cittadini mettono in scena vite quotidiane anonime sempre più caratterizzate da malessere psicologico. Un malessere che è frutto dell’azione combinata di più fattori: il diffuso senso di incertezza, dovuto in gran parte agli inquietanti scenari futuri che ci consegnano le dinamiche economiche e sociali della globalizzazione finanziaria; gli stili di vita imposti dal modello di sviluppo neoliberista imperniato sulla competitività; la perdita di identità dei territori; la perdita di quel rapporto città-campagna annullato dal prevalere della prima sulla seconda (invasa dallo sprawl) che in passato garantiva l’esistenza di luoghi diversi dall’urbe a pochi minuti dal caos cittadino».
Come uscirne ? Per Domenico la ricetta è una esistenziale lotta per difendere il territorio, carica di valore politico in senso lato. «L’urbanistica e la progettazione degli scenari in cui vivranno i cittadini non è materia che riguarda solo amministratori, esperti, architetti e ambientalisti, ma coinvolge la generalità dei cittadini, il loro diritto a una vita salubre e dignitosa, a un territorio non cementificato».

E questa lotta ha bisogno di «una fitta rete di relazioni tra comunità ambientaliste, comitati, liste civiche, forum e anche alcuni circoli di partito eretici rispetto alle linee ufficiali definite dai vertici che contano».

L’esempio principe di questa lotta esistenziale collettiva è dato dalla nascita delMovimento nazionale Stop al Consumo di Territorio e dalla successiva costituzione del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, un movimento molto anomalo che si nutre di migliaia di iniziative locali, che si ritrova in appuntamenti e conferenze nazionali, che si organizza senza risorse e finanziamenti pubblici, poggiandosi esclusivamente sul lavoro volontario di cittadine e cittadini.
E il Movimento dei cittadini della Val di Susa, i comitati No Expo 2015, l’Associazione dei Comuni Virtuosi, i piccoli municipi che hanno già imitato Cassinetta di Lugagnano sulla strada del “consumo di suolo zero” o cancellando drasticamente ampie superfici di espansione previsti da Piani Urbanistici in vigore e puntualmente non attuati.
Forti dell’allargamento costante di questa già immensa rete di alleati, dalla Fillea Cgil(il più grande sindacato italiano della filiera delle costruzioni) a giuristi attenti alla corretta interpretazione dell’articolo 41 della nostra Costituzione, dell’articolo 3 sul diritto di tutti i cittadini a partecipare all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese, delle diverse sentenze del Consiglio di Stato sulla legittimità per un Comune di modificare il proprio Piano Urbanistico senza intaccare pretesi “ius aedificandi”.
E poi urbanisti, architetti, agronomi, ricercatori, pedologi e perfino geometri…
Una lotta esistenziale che appare ancora impari. Ma che, come conclude Domenico, «rispetto a cinque anni fa, quando sotto la neve di Cassinetta di Lugagnano partiva la campagna Stop al Consumo di Territorio, il tema generale sembrerebbe oggi appuntato saldamente nell’agenda della politica italiana. Ma nonostante tutti i segnali di attenzione, piccoli o grandi, che soprattutto il web e i social network ci restituiscono, manca qualcosa. Manca la trasformazione finale e necessaria di questa moltitudine varia di lottatori per la salvaguardia della terra, del paesaggio, dell’ambiente, della biosfera o, come direbbe papa Francesco, del Creato, in un movimento politico d’opinione, che se necessario sappia misurarsi anche nell’arena politica, coltivando il consenso necessario, lavorando affinché, come direbbe Alex Langer, il cambiamento e la conversione ecologica divengano un desiderio dei cittadini, un’esigenza sociale collettiva».

Un libro innanzitutto d’amore, dicevamo. Perchè lo stimolo a procedere sulla strada giusta è soprattutto un atto d’amore.
Alessandro Mortarino

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