domenica 13 aprile 2014

Sismicità e trivellazioni petrolifere. Panorama italiano.

Su Gazzetta di Modena l'11 aprile è uscito un articolo sulla correlazione tra trivellazioni petrolifere e terremoto, dal seguente titolo:
"Choc nella Bassa. Il terremoto provocato dalle trivellazioni petrolifere?"
Lo riportiamo integralmente.


"«Non si può escludere» il legame tra attività estrattive e terremoto. Questo virgolettato, ripreso da un articolo della rivista Science e riportato dall’edizione odierna di Repubblica, è attribuito alle conclusioni della commissione Ichese messa in piedi dalla Regione dopo il sisma del 2012, è destinato a fare molto discutere. Le conclusioni della commissione, secondo la rivista americana, sono state consegnate da un mese ma ancora non vengono rese pubbliche. Sotto la lente d’ingrandimento del panel di esperti scelti dal governatore Errani sarebbero finiti, in particolare, gli impianti petroliferi di Cavone, nelle vicinanze di San Possidonio, nel Modenese: impianti molto piccoli che si trovano ad una ventina di chilometri dall’epicentro del sisma del maggio 2012. È possibile, secondo quanto riporta Repubblica citando la ricostruzione del rapporto fatta da Science, che la faglia coinvolta nella sequenza sismica del 2012 fosse sul punto di muoversi e che l’uomo abbia accelerato il processo. Le attività estrattive nel sito di Cavone erano aumentate nell’aprile 2011 e questo sarebbe un legame temporale. Però, conclude la rivista secondo Repubblica, manca ancora un modello fisico di sostegno. Vista la cautela con cui la comunità scientifica si muove, la delicatezza dell’argomento che coinvolge direttamente mezzo milione di persone nella nostra provincia e soprattutto la difficoltà di esprimere giudizi netti desta stupore la ragione con cui, sempre secondo Repubblica, lo studio è stato consegnato un mese fa al presidente della Regione, Vasco Errani e ai suoi collaboratori dentro e fuori la giunta. Non va sottovalutato poi il fatto che gli esperti in questione sono stati designati proprio dalla stessa Regione Emilia Romagna. Però questi dati sono stati diffusi da una rivista americana e non nel territorio colpito dal terremoto."

Aggiunge la Redazione di Gazzetta di Modena:
"Capiamo bene che ci si trovi di fronte ad una situazione paradossale. Non abbiamo mai amato l'allarmismo e mai l'abbiamo fatto, soprattutto per quanto riguarda il terremoto. Questa volta abbiamo dato un'indiscrezione dopo che, per DUE MESI, il rapporto dei sei studiosi è rimasto celato. 
Capiamo bene che dire "non si esclude che" può essere interpretato in due modi opposti a seconda della tesi che si vuole sostenere, ma noi non siamo qui a parteggiare per una conclusione a discapito di un'altra.
Partiamo da un concetto: i terremoti non si prevedono. Ok. La domanda a questo punto è: c'è correlazione tra terremoto emiliano ed estrazioni di petrolio? Non abbiamo chiesto noi di istituire una commissione, l'ha fatto la Regione, ma a quel punto vorremmo avere delle risposte VERE e DEFINITIVE, non certo dei "non si esclude che".
Per concludere, non va scordato che la commissione doveva indagare anche sulle leggende metropolitane che ruotavano intorno alle trivellazioni per lo stoccaggio gas di Rivara. Anzi, qualcuno addirittura sosteneva - sbagliando grossolanamente - che a Rivara stessero già estraendo gas. 
Abbiamo sempre avuto grande rispetto per i terremotati perché anche molti di noi lo sono e mai faremo allarmismo per qualche clic in più. Eppure il report di un gruppo di grandi studiosi non potevamo tacerlo, anche se si tratta di indiscrezioni ormai confermate. 
Continuate pure a discutere, questo spazio è libero e accessibile a tutti."


LA NOTIZIA MERITA SECONDO NOI APPROFONDIMENTI.

Tempo fa ci  attaccarono per aver riportato le divulgazioni scientifiche della Prof. Maria Rita D'Orsogna. 
Era il lontano 2009. Nel 2012 ci misero alla gogna per aver rimarcato la nostra posizione. 
Oggi il tempo  ha dato ragione a noi come a tutte le menti pensanti e alla faccia dei disonesti e degli ignoranti !

Ad Overture, programma radiofonico condotto da David Grammiccioli, si parla 
di quello che il Governo avrebbe dovuto dire ma non ha detto.
Le introspezioni geologiche per la ricerca di idrocarburi e di gas naturali in Emilia Romagna potrebbero essere quasi sicuramente la causa scatenante del terremoto.
Lo disse anche la Dottoressa Maria Rita d’Orsogna, docente di Matematica presso l’Università di Northridge in California, In tempi insospettabili quando, nel 2008 si avvicinava l’ipotesi di petrolizzare l’Abruzzo. Anche in quell’occasione la Professoressa D’Orsogna decise di spendersi per quella che è la sua terra di origine. Cominciarono una serie di conferenze stampa, congressi che la Professoressa aveva preferito tenere prevalentemente in Italia per divulgare quelli che sono gli effetti di trivellazioni da petrolio.
Oltre a parlare di quelli che sono i danni provocati dall’idrogeno solforato o acido solfidrico che causa modificazioni di DNA, cancro e perdita istantanea di memoria oltre a danni permanenti ed immediati nel cervello, aveva anche parlato di un aspetto che tutti hanno posto in secondo piano: Il terremoto.
La professore’Orsogna aveva anche avvertito che “in giro per il mondo ci sono zone non-sismiche che lo sono diventate dopo le estrazioni petrolifere. In Russia ad esempio, alcune scosse del grado 7.3 della scala Richter sono state direttamente attribuite alle trivelle per stessa ammissione dei petrolieri; in Indonesia un vulcano continua ad emettere fango grazie a perforazioni risalenti al 2004. Ci sono anche teorie secondo cui lo tsunami asiatico è stato amplificato dalle estrazioni di quasi 10 milioni di metri cubi di petrolio in Indonesia da parte della Exxon-Mobil”. Intanto la camera dei deputati ha approvato il Disegno di legge 1441, che sottrae alle Regioni e ai Comuni la valutazione di impatto ambientale in relazione alle concessioni di estrazione petrolifera.
Direte voi: ma si tratta di petrolio! Eh no! Si tratta di trivellazioni e di estrazione di carburanti fossili come petrolio e gas. La stessa cosa quindi vale per le trivellazioni di gas. Insomma, adesso L’Emilia Romagna potrebbe essere annoverata tra quelle “regioni diventate sismiche proprio in seguito a trivellazione“. Ci chiediamo quindi: il Governo sapeva? Le aziende che sono interessate ad appropriarsi di quelle risorse fossili lo sapevano? Chi pagherà quindi le case ai cittadini se la responsabilità è addebitata ad altri ed era prevedibile? Il Governo si assumerà le sue responsabilità dopo aver tolto la possibilità di ottener il finanziamento agli immobili per calamità? Sarà considerata una calamità naturale o indotta? Ci si auspica quindi che i cittadini si riuniscano in comitato e facciano sentire la propria voce.

Una nota va spesa anche per l’Abruzzo che ha vissuto il terremoto nel 2009: li la Petroceltic non si arrende e le compagnie petrolifere si stanno ancora leccando i baffi per quelle che sono le concessioni di ricerca che di fatto saltano moltissimi passaggi della ricerca vera e propria e condurranno dritti alle trivellazioni. In particolare sono state concesse le ricerche sulla costa abruzzese con tecnica dell’airgun, che sono spari ad alta intensità di aria compressa sulle coste. L’Intensità dei riflessi che ne deriveranno sarà direttamente proporzionale alla presenza o all’assenza di petrolio sotto la costa adriatica. Nulla di “fortemente inquinante” dal punto di vista chimico per adesso, ma che rischia di mettere in serio pericolo tutte le specie marine. Anche questo causerebbe sismicità secondo gli esperti che andrebbe a peggiorare con l’estrazione di idrocarburi ma anche di gas naturali. Numerose piattaforme di gas sono sparse per tutta la costa teramana tra Silvi Marina e Pineto. E’ ora di dire “basta” alle trivellazioni!
Petrolio in Abruzzo: Il Pescara.it intervista la prof. D'Orsogna
La Prof. Maria Rita d'Orsogna, docente e ricercatrice presso la California State University at Northridge parla della bocciatura del progetto Ombrina Mare e della situazione petrolio in Abruzzo
Petrolio in Abruzzo: Il Pescara.it intervista la prof. D'Orsogna

Professoressa D'Orsogna, come ha accolto la notizia della bocciatura del progetto di Ombrina Mare?

Sono contenta e fiera del popolo abruzzese che ha risposto con vigore a tutte le azioni promosse contro Ombrina Mare - l'invio di osservazioni, le manifestazioni, le pressioni sulla classe politica. E' stato molto bello il coinvolgimento degli studenti, in particolare del comprensorio Gabriele d'Annunzio di San Vito Marina e dell'istituto Cesare de Titta di Lanciano. Personalmente, ancora adesso ci sono degli istanti silenziosi in cui mi commuovo nel ripensare alle cose strordinarie che siamo riusciti a fare in questi tre anni.

Crede che questa sia una vittoria? Non c'è il rischio che il progetto rimanga e cambi veste?

E' una vittoria, ma come sempre occorre restare vigili e non pensare che il ruolo di custodi del nostro territorio finisca qui o che non ci siano altre battaglie da combattere. In realtà attivismo e partecipazione non dovrebbero finire mai in una società adulta. Il petrolio e' ancora presente nei nostri mari, e certo, potrebbe anche succedere che la MOG o altri possano ripresentarsi o cercare di trovare scorciatoie per rovesciare le decisioni del governo. Sta a noi impedirglielo.

Come si è arrivati alla bocciatura del progetto?
E' stato un duro lavoro inziato gia' nell'autunno del 2009 quando presentammo le prime osservazioni per i pozzi Elsa2 della Petroceltic e che si e' ripetuto poi per Ombrina, Bomba, Vasto. E' una tecnica che stanno ora usando anche in Basilicata e in Veneto su esempio dell'Abruzzo.

Per molto tempo ho cercato un dialogo con le istituzioni regionali, sapendo che difficilmente sarei stata ascoltata. Ho deciso allora di coinvolgere direttamente la popolazione. Il trattato di Aarhus, approvato dall'Italia, consente ai residenti di esprimere il proprio parere quando si tratta di decisioni importanti per la collettività e ho voluto applicarlo al nostro caso. Non sapevo se sarebbe stato utile o no, ma ci ho voluto credere e così le nostre osservazioni sono state sempre più numerose e ricche di contenuti.
Con il tempo anche la provincia di Chieti ha ritenuto opportuno lavorare con i cittadini ed abbiamo potuto contare anche sul loro supporto istituzionale per il quale siamo grati a Enrico Di Giuseppantonio e alla sua amministrazine provinciale. Ma tutto e' partito dalla gente ed e' stato della gente fino alla fine.

Nel corso dei mesi abbiamo tenuto alta la guardia presso il ministero, telefonando, mandando email, controllando i siti ministeriali, ricordandogli che attendavamo risposte e che secondo Aarhus la nostra opinione era importante. Ci sono stati poi reportage dalla Francia, dall'Inghilterra dagli Stati Uniti sul tema trivelle in mare in Abruzzo.

Io credo che senza le nostre osservazioni il Ministero avrebbe approvato Ombrina molto tempo prima dello scoppio in Louisiana. Un alto funzionario del Ministero mi ha detto in una telefonata, che non gli era mai capitato prima di essere sommersi di così tante osservazioni e che era chiarissimo come la pensavamo.
Dopo questa battaglia da Lei condotta e fiancheggiata dai cittadini, siamo liberi anche dalla possibilità di impianti di raffinazione?

Purtroppo no. Ci sono ancora altri progetti sul territorio - penso soprattutto a quello di Bomba dove la Forest Oil Corporation vuole costruire una raffineria accanto ai pozzi di idrocarburi e ai piedi della diga. Finchè c'è petrolio nel nostro sottosuolo non saremo mai liberi dallo spettro di impianti insalubri, ed e' per questo che occorre inculcare nelle generazioni piu giovani un senso di rispetto dell'ambiente, cosicche fra 20, 30 anni le multinazionali del petrolio - se ci riprovano - troveranno la stessa tenacia di adesso nel dire no.

Come vede oggi la politica abruzzese relativamente all'attenzione per i danni ambientali provocati dall'estrazione e lavorazione di petrolio?
L'Abruzzo ha bisogno di una legge ferrea che vieti le estrazioni su terraferma, di petrolio e di gas. Se lo può fare la Toscana, lo può fare anche l'Abruzzo. La costa teatina ha bisogno di un parco perimetrato e non di elettrodotti dal Montenegro, di centrali nucleari o di inceneritori a Punta Penna. L'Abruzzo ha bisogno di incentivare le piccole e medie imprese che vogliono puntare sul nostro ambiente come forma di sviluppo economico. Bisogna che parchi, incentivi e divieti siano eseguiti per davvero e non solo che se ne parli.
Chiodi qualche mese fa annunciò che in Abruzzo entro il 2014 arriveremo a produrre il 51% di energia da fonti solari. Dove sono gli investimenti in tal senso? Dove sono gli incentivi? Come si arriverà a questo numero? Era vero o era propaganda?
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Lei è stata una figura centrale per lo studio e la divulgazione dei danni provocati dal petrolio. Chi vorrebbe ringraziare? Chi è stato dalla sua parte sin dall'inizio?

Vorrei ringraziare tutti quelli che si sono attivati contro Ombrina, anche dai gesti più piccoli, da Sara di Ortona che ha inseguito i politici con una telecamera, a Guido del gruppo podistico il Quercione di Lanciano che ha annunciato la raccolta di osservazioni da un altoparlante in giro per la città. Abbiamo vinto tutti e a tutti sono grata.

In modo speciale, vorrei ringraziare Fabrizia Arduini che è da 30 anni che si occupa di protezione dell'ambiente in Abruzzo e che è stata il mio braccio destro in tutti questi mesi. E poi voglio ringraziare tutti i miei compagni di Emergenza Petrolio Abruzzo fra cui Giosuè Guidone, Pasquale Cacciacarne, Assunta di Florio e Lulù Santarelli che hanno cercato di raccogliere quante più adesioni possibili fra la gente. Infine, i miei genitori Nicoletta e Filippo per avermi aiutata a coordinare tutto, per avermi incoraggiata e fatto ridere quando ero stanca e mi chiedevo "ma chi me lo fa fare?".

Cosa l'ha spinta a condurre questa difficile battaglia?


Al di là dell'ambientalismo, un forte senso di giustizia sociale. Non e' giusto che le compagnie petrolifere loro possano pensare di andare in una comunita' che non conoscono, metterla a soqquadro, fare quello che vogliono senza che nessuno dica niente. Io ho voluto fare quello che potevo per impedirglielo. Mi dispiace solo di non poter far di più per la Basilicata, alla quale dobbiamo essere tutti solidali.

Pensa che sia finito per l'Abruzzo l'incubo della petrolizzazione della Regione? Oppure ci sono altre sorprese in vista?


I progetti petroliferi sono tanti e c'e spazio ancora per l'attivismo petrolifero. Più in generale c'è spazio per l'attivismo ambientale e sociale. Ciascuno può e deve fare la sua parte. Superman non viene a salvarci, dobbiamo salvarci da soli. Dobbiamo instillare nei nostri figli il senso della moralità, della giustizia, del bene comune, dell'incorruttibilità. L'ambiente è solo un corollario di questi ideali. Solo così eviteremo tutte le altre "sorprese" ai danni della collettività. Petrolio o qualunque altro sia il nome del malaffare.

Questa è la situazione in Irpinia.

Trivellazioni e terremoti: in Irpinia è un disastro annunciato, fermiamoli! VIDEO

 








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LE TRIVELLAZIONI CAUSANO SISMICITA’: LA PROFESSORESSA D’ORSOGNA LO AVEVA DETTO!



QUALE LA SITUAZIONE NEL SANNIO ?
Ne parla Felice Presta sul suo blog, Sannio Report.

"NEL SANNIO ALCUNE SOCIETA' VOGLIONO TRIVELLARE ALLA RICERCA DI IDROCARBURI. L'OBIETTIVO E' QUELLO DI EFFETTURARE ESTRAZIONI "NON CONVENZIONALI". SPIEGHIAMO COSA COSA SONO.


Il petrolio non è finito e nemmeno il gas. Nei sottosuoli ci sono ancora abbondanti riserve di energia fossile. Tuttavia non sono infinite e presto si dovrà affrontare il problema di come uscire definitivamente dall'epoca del petrolio e produrre tutta l'energia in modo alternativo.
Chi spera in un abbandono nel breve periodo degli idrocarburi (30-40 anni), dovrà ricredersi perché stiamo varcando una nuova frontiera con ripercussioni positive e negative ancora tutte da scoprire.
Gli Stati Uniti d'America hanno ripreso a macinare energia con il gas non convenzionale, volgarmente noto come “shale”, un gas estratto da rocce argillose in cui è trattenuto. La tecnica di estrazione, nota come “fracking”, fratturazione idraulica, è al centro di una controversia tra i sostenitori e detrattori.
La Cina affamata di energia, il Canada e il Messico si stanno attivando per aumentare questo tipo di estrazioni non convenzionali. Anche in Europa ci sono giacimenti, ma da noi l'atteggiamento resta più prudente e ogni paese ha deciso di regolarsi autonomamente.

Gli interessi non sono soltanto di natura commerciale, nella partita energetica entra in campo la forza politica di una nazione. Gli idrocarburi derivati da argille possono mutare l'asse geostrategico oggi incentrato sui pozzi mediorientali e le condotte russe.
Tutto è nato intorno al gas o meglio all'esigenza degli Stati Uniti di aumentare la produzione di fronte all'aumento dei consumi. Nel 2000 alcune alcune piccole società (la prima è stata la Mitchell Energy), cominciarono a pensare di sfruttare una serie di giacimenti conosciuti ma fino ad allora mai sfruttati per ragioni economiche.
Conosciuti con i termini shale o tight, questi giacimenti sono costituiti da rocce calcaree, arenarie, quarzo e argilla: quando quest'ultima è predominante, si parla di shale, altrimenti le formazioni sono semplicemente tight. In molti casi, giacimenti tight sono confusi con gli shale, perché dall'analisi dei dati di giacimento risultano pressoché simili. A vederle ad occhio nudo, sembrano granito o cemento, non si pensa che contengano gas o petrolio. Per tutto il secolo è stato quasi impossibile, dato il basso livello di porosità e permeabilità, estrarre da questa fonte di energia a costi contenuti.
All'inizio le grandi multinazionali avevano sottovalutato la dimensione delle riserve di shale gas.

La perforazione combina due tecniche: la trivellazione orizzontale e la fratturazione idraulica, o “fracking”. Nella perforazione orizzontale la trivella scava un pozzo in verticale nel sottosuolo, per poi deviare a 90 gradi ed entrare in lunghissimi ma poco spessi strati di rocce orizzontali che, come spugne solide, imprigionano idrocarburi. E' a questo punto che interviene la fratturazione idraulica. Mentre la trivella procede, si “sparano” acqua, sabbia (o ceramica) e agenti chimici all'interno del pozzo a intervalli regolari. L'acqua rompe la roccia, sabbia e agenti chimici impediscono che le rotture create si richiudano o implodano, e così favoriscono la “fuga” in superficie di gas e petrolio. Queste tecniche non sono una novità, le prime fratturazioni idrauliche conosciute risalgono al 1949.

Il dilemma più delicato riguarda ovviamente l'impatto ambientale. Secondo critiche circostanziate, questo tipo di trivellazione impiegata per l'estrazione di petrolio e gas da formazioni shale e tight – soprattutto la fratturazione idraulica – provocano l'inquinamento delle falde acquifere e perfino terremoti (comunque inducono attività sismica a bassa intensità). L'eco di queste preoccupazioni ha raggiunto l'Europa, dove la Francia ha vietato temporaneamente il fracking, in altri paesi come Svezia e Germania si sta manifestando una forte ostilità, così come in Italia dove molte zone sono interessate a questo tipo di esplorazioni. Le acque “sparate” e stoccate in enormi quantità sotto terra, in effetti, possono provocare un distacco delle faglie e il loro scivolamento, e quindi piccoli terremoti. Dal 2010 in tutto il Midwest americano sono aumentati gli sciami sismici, dopo l'intensificarsi dell'attività di trivellazione convenzionale e non convenzionale. E' solo una coincidenza? In alcuni casi come in Ohio e in Inghilterra, le scosse hanno raggiunto i due gradi Richter.

In Emilia, ammesso che il fracking non si pratichi, ci sono 514 pozzi perforati, di cui 69 non produttivi e destinati ad altro uso (fonte Ministero Ambiente). Molti sostengono che il terremoto verificatosi due anni fa, sia una conseguenza dell'attività dei pozzi di reiniezione di rifiuti liquidi provenienti da estrazioni di gas e petrolio “convenzionali”. Molti studi confermano la connessione tra sismicità e attività di trivellazione.


A maggio 2012 l'International Energy Agency ha rilasciato un report dove sono contenute le regole per minimizzare i rischi ambientali connessi alla produzione di gas da giacimenti “non convenzionali”, rischi che hanno spinto Francia, Bulgaria e alcuni stati americani (Vermont e altri) a proibire per ora questa pratica. Questo tipo di trivellazioni sono molto invasive (più di un pozzo a km quadrato, per le tecniche convenzionali basta uno ogni 10 km). Occorre un gran movimento di camion: 100-200 per la costruzione di ogni pozzo, fino a 650 per portare l'acqua necessaria per il metodo della fratturazione idraulica, altre centinaia per rimuovere le decine di tonnellate di pietra prodotte da ogni torre di trivellazione. Traffico, inquinamento a cui si aggiunge quello dei motori diesel che forniscono energia al pozzo. Oltre a questo c'è il problema dello stoccaggio e dello smaltimento accurato del “mud” il fluido fanghiglioso con cui si lubrifica la trivellazione. 

Si aggiunga poi quella porzione di fluido usata per la fratturazione idraulica – composto di acqua, grani di sabbia o ceramica e additivi chimici – che ritorna in superficie portando con sé metalli e minerali talvolta leggermente radioattivi. Inoltre, il rivestimento interno in cemento del pozzo, deve essere impeccabile per evitare infiltrazioni di ogni tipo nel terreno e nelle falde acquifere. Ci sono molti argomenti per essere preoccupati."

Rosanna Carpentieri

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