Ieri,
proprio mentre una folta schiera di benpensanti sprecava scandalo e
riprovazione indirizzandoli contro un settimanale di pettegolezzi, che
vende, e molto, grazie a cronache di corna, cellulite, miracoli
plastici, ma legittimato come organo d’informazione da esclusive beate
sulle virtù private di premier e delle loro famigliole, a conferma che
in molti, indifferenti invece alle ingerenze inique del regime nelle
nostre esistenze, sostengono ancora l’inviolabilità, perfino dalle
malizie, dei potenti, passava inosservato il tête-à-tête tra Renzi e il
grande condannato, con il contorno del grande inquisito.
E
passava incontrastata l’approvazione dello Sblocca Italia. In ambedue i
casi il Parlamento è retrocesso a funzioni notarili, a sottoscrivere
scelte, a ratificare le decisioni del governo, anticipando la felice
conclusione del disegno eversivo del ragazzotto messo a eseguire gli
ordini di chi sta più su ed altrove, che immagina la concertazione come
la liturgia di approvare i suggerimenti del padrino, che lavora per
“riforme” istituzionali che cancellano definitivamente la
rappresentanza, che annuncia - e speriamo non attui - misure che
soffocano direttamente e indirettamente la democrazia, grazie alla
cancellazione di diritti, l’esaltazione delle disuguaglianze, l’impiego
“legale” del ricatto e della minaccia.
Ma
intanto proprio ieri una di quelle misure non si sono limitati ad
annunciarla, l’hanno approvata, in ossequio al diktat implacabile della
fiducia, e a larga maggioranza, promotori, correi e anche alcuni vecchi
attrezzi dell’ambientalismo, convertiti alla crescita illimitata, al
cemento, all’egemonia proprietaria.
Il
governicchio di bugiardelli ha cercato di far credere che il ricorso
alla fiducia, il ventinovesimo, si sia reso indispensabile per via delle
intemperanze fino all’illegalità dei rappresentanti 5stelle. Come se
non si debba considerare invece illecito, illegittimo, illegale il
saccheggio del territorio per favorire speculazione e profitto privato,
lo smantellamento del sistema dei controlli per facilitare licenze e
indulgenze acquistabili mediante trattative opache con enti locali
espropriati dei loro poteri, lo scavalcamento delle leggi urbanistiche e
di difesa del suolo, la svendita di beni comuni, l’oltraggio
legalizzato del paesaggio, compreso quello fino ad oggi tutelato da
regimi di salvaguardia speciali.
Ma
non si poteva rischiare che qualche capitano coraggioso facesse sue,
tramite emendamento, le critiche e le preoccupazioni di studiosi,
fastidiosi soloni, di esperti, molesti misoneisti, di addetti ai lavori,
apparatchik di una casta sussiegosa e intoccabile, che da mesi denunciano il
protervo perseguimento della cementificazione inutile e dannosa del
Paese, il conferimento di fondi a grandi opere, dirottandoli da
manutenzione e difesa del territorio, la confisca di competenze e
autorità di comuni, regioni, province, oggetto di un’altra risibile
sceneggiata, l’abuso di suoli, libertà di trivella, come più volte
abbiamo scritto in questo blog anche qui.
E atto simbolico a coronamento dell’istinto plebiscitario del
presidente leader, che pone anche così il sigillo sull’aspirazione di
Berlusconi: cancellazione sotto la bandiera dell’anticomunismo della
sinistra e superamento della democrazia dei partiti e offre l’Italia
all’Ue e alla stantia volontà di superpotenza occidentale, come caso di
successo, eccellenza della volontà della cupola sovranazionale:
abrogazione della sovranità statale e popolare, rimozione delle
rappresentanze, annullamento della partecipazione, criminalizzazione
della critica, cancellazione del lavoro e delle sue conquiste e
garanzie.
Non
a caso proprio oggi il ministro Franceschini, che non si è accorto
dello Sblocca Italia, come non si è accorto del disegno implacabile che
ha prodotto l’irreparabile rovina del nostro patrimonio artistico e
culturale in modo da poterlo consegnare a sponsor esclusivi e rapaci,
denuncia l’irresponsabilità dei lavoratori di Pompei in assemblea
sindacale, incolpandoli di danneggiare il turismo e dunque la
credibilità e l’immagine del Paese.
Come se la nostra reputazione non
fosse compromessa dal dissesto idrogeologico, dall’indifferenza per lo
stato delle nostre aree archeologiche, alle quali non sono assicurate le
quotidiane azioni di manutenzione, mentre si continua a sproloquiare di
smart city, megalomani Progetti di “ricostruzione”, affidati a
improbabili mecenati, dal volto ferito di città periodicamente colpite
da allagamenti, inondazioni, frane, da ponti, canali, autostrade, nuove
piramidi contemporanee, pensate per favorire i signori del cemento,
degli appalti opachi e della corruzione.
Qualcuno
però è stato ascoltato in sede di discussione a porte chiuse dello
Sblocca Italia. C’è anzi da supporre che per una volta siano state
gradite le osservazioni della ragioneria dello Stato, chiamata a
controllare i compitini di aritmetica del Ministro Lupi e dei suoi
uffici, sospettati di essere frequentati da sconcertanti suggeritori,
promoter, consulenti. L’occhiuta ragioneria non ha rotto le uova nel
paniere del governo, dei finanziatori della Leopolda, degli amici
dell’interlocutore privilegiato, così ha scelto di bocciare il raddoppio
dei fondi già esigui per le emergenze attribuibili al dissesto
idrogeologico (Genova compresa) e la riduzione al 4% dell’Iva sulle
ristrutturazioni edilizie così come l’aumento al 10% dell’imposta sul
valore aggiunto per le nuove costruzioni.
Il
vecchio Senato ha voluto comportarsi come dovrà fare il nuovo,
immaginato proprio per dire sempre sì, per dimostrare futuristico
dinamismo, evitando l’esame dei provvedimenti, inaugurando il
beneducato “voto di fiducia dal posto”, rivendicato con fierezza da
Calderoli e Pd, accusando di squadrismo l’opposizione in aule abituate a
lanci di mortadella, compravendite di eletti, ammissioni pubbliche di
ignoranza e incompetenza. E dire che è così evidente dove agiscono
invece gli sfascisti d’Italia.
Le Belle Arti dei gangster
È stata la fervorosa Ministra Boschi in Conferenza dei capigruppo a
sollecitare un rapido svolgimento dei lavori, senza le rituali 24 ore di
riflessione, per iniziare la chiama subito. Era giovedì, il giorno dopo
sarebbe cominciata la fiera delle vanità alla Leopolda e il governo
mica poteva stare ai comodi di gufi, verdi di ritorno, disfattisti
animosi e misoneisti, pronti a rottamare lo Sblocca Italia. Non aveva
ragione di temere, anestetizzati dal ricorso ormai abituale alla
fiducia, concentrati sull’unico tema sul quale come canarini in gabbia
osano un battito d’ala, gli appartenenti alla grosse coalition,
malmostosi compresi, hanno votato compatti, i voti favorevoli a
Montecitorio sono stati 278, 161 i contrari e sette gli astenuti. Adesso
il decreto andrà in votazione accelerata, senza sorprese e senza
obiezioni, l’11 novembre.
E con questo non ci resta niente, stato sociale ridotto allo scheletro, lavoro ridotto a schiavitù, dove l’unico diritto è quello di faticare incerti e ricattati, beni comuni in svendita, democrazia e partecipazioni sospese, territorio, risorse, paesaggio messe in un pilone di cemento come fanno i gangster.
Vale la pena di ricordare i pilastri su cui si regge l’oltraggio al Bel Paese, già più bucherellato del groviera: il pensiero forte, l’ideologia che ha ispirato il provvedimento, compiendo quello che Berlusconi aveva vagheggiato- e immaginate che insurrezione se quel decreto avesse avuto la sua firma – è il riconoscimento della prevalenza dell’interesse proprietario.
Ai proprietari delle aree viene riconosciuto il “diritto di iniziativa e di partecipazione” nei procedimenti di pianificazione.
Tanto che ai soggetti istituzionali – Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato – si raccomanda nell’esercizio delle rispettive competenze, di estendere anche ai “privati che partecipano alla pianificazione” gli stessi principi che regolano i rapporti interistituzionali (leale collaborazione, sussidiarietà, trasparenza ed altri ancora). Delegittimando esplicitamente i principi fondativi che stanno alla base del processo di pianificazione, che spetta a pieno titolo alla sola sfera pubblica, costituendo una delle attività più qualificanti delle amministrazioni pubbliche, e in particolare dei Comuni.
Pensando all’estetica di governo, fa tremare le vene dei polsi l’espressione “rinnovo urbano”, con le velleità del sindaco futuro premier: ricostruzione di facciate michelangiolesche, battaglie taroccate, roof garden con vista su Santa Maria dei Miracoli, mattonelle in piazza e Tav sotto.
Anche in questo contesto la volontà dichiarata è quella di riaffermare il ruolo egemone e licenza di azione illimitata ai privati, soggetti alla pari in negoziazioni con l’amministrazione, tanto che si ipotizza addirittura la possibilità in caso di accordo tra le parti, di realizzare gli interventi anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità da questa. E se nell’ambito di un consorzio tra proprietari interessati alle opere, qualcuno dovesse obiettare e non aderire alle scelte della maggioranza, potrà essere punito con l’espropriazione senza appello del suo alloggio.
Ma non basta: il decreto prevede una proroga sfrontata delle concessioni autostradali fino al 2038 (in cambio di 10 miliardi di investimenti che avrebbero dovuto essere già realizzati) che ha suscitato critiche perfino dall’Autorità Antitrust che da quella dei Trasporti. A scopo dimostrativo, per far sapere chi comanda, imprese poco trasparenti in odor di corruzione, di irregolarità di speculazione, enti sleali nei confronti dell’interesse generale, sono ben presenti tutte quelle semplificazioni autorizzative negli appalti che hanno spinto Bankitalia e l’Autorità Anticorruzione a denunciare un ‘probabile incremento dell’illecito e dell’illegale.
Sarà il ministero delle Infrastrutture, preminente rispetto a Ambiente e Beni Culturali a prendere la decisione finale per i cantieri in aree archeologiche, come la Metro C di Roma, che tanto i i controlli ambientali e i vincoli paesaggistici come tutto il sistema di vigilanza e di autorizzazione, sono affievoliti.
La cementificazione del demanio pubblico inutilizzato viene generosamente affidata ai famigerati fondi immobiliari, quelli del disastro americano e del contagio spagnolo, greco, portoghese.
Trivelle e inceneritori rientrano nell’ambito delle “opere strategiche di interesse nazionale”, riconoscimento che sembra non essere dovuto alle opere di tutela e salvaguardia e nemmeno a quelle di riassetto idrogeologico.
Nel provvedimento nemmeno si citano obiettivi di contrasto al consumo di suolo. Si sa che i dati Istat contano solo se sono funzionali a scelte dall’alto, se non guidati, certamente interpretati come i sondaggi. Così a nessuno è interessato il dato disfattista che ostacola il costruttivismo di governo, quello della recente forte crescita di suolo consumato: meno di venti anni fa, l’occupazione era pari alla metà. A fronte di questa dissipazione, che significa distruzione di sistemi idrogeologici e di conseguenza dissesti, oltre che perdita di paesaggio – le politiche urbanistiche hanno promosso un’abnorme quota di volumi, spesso vuoti, edificati nella “città diffusa” italiana: gli appartamenti inutilizzati sono più di sette milioni, circa 20 milioni di stanze vuote, quasi un alloggio su quattro è disabitato e spesso nemmeno completato, come una scatola mal confezionata.
C’è poco da interrogarsi sull’ossessione costruttiva dei nostri governi: tirar su case non risponde a una domanda sociale ma ubbidisce ai nuovi comandi della rendita immobiliare convertita al gioco d’azzardo finanziario, l’edilizia ai tempi di Berlusconi, Monti, Renzi è al servizio della costruzione degli edifici virtuali dei fondi d’investimento o di risparmio gestito, oltre che degli investimenti finalizzati al riciclaggio del capitale illegale e criminale.
Per non parlare dell’altra asfissiante coazione a costruire, quella delle grandi opere, che non scema nemmeno in presenza della conversione folgorante dei suoi fan, come quel vicepresidente della Commissione Trasporti di Palazzo Madama, Stefano Esposito (Pd) che ha scoperto improvvisamente che c’è del marcio in Val di Susa. In pochi anni la spesa prevista per l’Italia della Tav è passata da 2,9 miliardi a 7,7 miliardi, circa il 165 per cento in più, mentre nei documenti del governo la cifra è sempre stata inferiore ai 3 miliardi, come indicato nel progetto definitivo all’esame del Cipe. «Se le cifre sono queste io chiedo al governo di sospendere i lavori, rinunciare all’opera e pagare le penali alla Francia», dice Esposito.
Chissà se potremmo aspirare ad altre tardive ma utili rivelazioni a proposito del Mose, dell’Expo, del Ponte di Messina, delle tratte autostradali che nessuno percorrerà in un Paese sempre più immobile sotto il peso di nuove miserie, quelle delle tasche, della speranza, dei diritti seppelliti sotto una colata di cemento maledetto.
Anna Lombroso per il Simplicissimus
E con questo non ci resta niente, stato sociale ridotto allo scheletro, lavoro ridotto a schiavitù, dove l’unico diritto è quello di faticare incerti e ricattati, beni comuni in svendita, democrazia e partecipazioni sospese, territorio, risorse, paesaggio messe in un pilone di cemento come fanno i gangster.
Vale la pena di ricordare i pilastri su cui si regge l’oltraggio al Bel Paese, già più bucherellato del groviera: il pensiero forte, l’ideologia che ha ispirato il provvedimento, compiendo quello che Berlusconi aveva vagheggiato- e immaginate che insurrezione se quel decreto avesse avuto la sua firma – è il riconoscimento della prevalenza dell’interesse proprietario.
Ai proprietari delle aree viene riconosciuto il “diritto di iniziativa e di partecipazione” nei procedimenti di pianificazione.
Tanto che ai soggetti istituzionali – Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato – si raccomanda nell’esercizio delle rispettive competenze, di estendere anche ai “privati che partecipano alla pianificazione” gli stessi principi che regolano i rapporti interistituzionali (leale collaborazione, sussidiarietà, trasparenza ed altri ancora). Delegittimando esplicitamente i principi fondativi che stanno alla base del processo di pianificazione, che spetta a pieno titolo alla sola sfera pubblica, costituendo una delle attività più qualificanti delle amministrazioni pubbliche, e in particolare dei Comuni.
Pensando all’estetica di governo, fa tremare le vene dei polsi l’espressione “rinnovo urbano”, con le velleità del sindaco futuro premier: ricostruzione di facciate michelangiolesche, battaglie taroccate, roof garden con vista su Santa Maria dei Miracoli, mattonelle in piazza e Tav sotto.
Anche in questo contesto la volontà dichiarata è quella di riaffermare il ruolo egemone e licenza di azione illimitata ai privati, soggetti alla pari in negoziazioni con l’amministrazione, tanto che si ipotizza addirittura la possibilità in caso di accordo tra le parti, di realizzare gli interventi anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità da questa. E se nell’ambito di un consorzio tra proprietari interessati alle opere, qualcuno dovesse obiettare e non aderire alle scelte della maggioranza, potrà essere punito con l’espropriazione senza appello del suo alloggio.
Ma non basta: il decreto prevede una proroga sfrontata delle concessioni autostradali fino al 2038 (in cambio di 10 miliardi di investimenti che avrebbero dovuto essere già realizzati) che ha suscitato critiche perfino dall’Autorità Antitrust che da quella dei Trasporti. A scopo dimostrativo, per far sapere chi comanda, imprese poco trasparenti in odor di corruzione, di irregolarità di speculazione, enti sleali nei confronti dell’interesse generale, sono ben presenti tutte quelle semplificazioni autorizzative negli appalti che hanno spinto Bankitalia e l’Autorità Anticorruzione a denunciare un ‘probabile incremento dell’illecito e dell’illegale.
Sarà il ministero delle Infrastrutture, preminente rispetto a Ambiente e Beni Culturali a prendere la decisione finale per i cantieri in aree archeologiche, come la Metro C di Roma, che tanto i i controlli ambientali e i vincoli paesaggistici come tutto il sistema di vigilanza e di autorizzazione, sono affievoliti.
La cementificazione del demanio pubblico inutilizzato viene generosamente affidata ai famigerati fondi immobiliari, quelli del disastro americano e del contagio spagnolo, greco, portoghese.
Trivelle e inceneritori rientrano nell’ambito delle “opere strategiche di interesse nazionale”, riconoscimento che sembra non essere dovuto alle opere di tutela e salvaguardia e nemmeno a quelle di riassetto idrogeologico.
Nel provvedimento nemmeno si citano obiettivi di contrasto al consumo di suolo. Si sa che i dati Istat contano solo se sono funzionali a scelte dall’alto, se non guidati, certamente interpretati come i sondaggi. Così a nessuno è interessato il dato disfattista che ostacola il costruttivismo di governo, quello della recente forte crescita di suolo consumato: meno di venti anni fa, l’occupazione era pari alla metà. A fronte di questa dissipazione, che significa distruzione di sistemi idrogeologici e di conseguenza dissesti, oltre che perdita di paesaggio – le politiche urbanistiche hanno promosso un’abnorme quota di volumi, spesso vuoti, edificati nella “città diffusa” italiana: gli appartamenti inutilizzati sono più di sette milioni, circa 20 milioni di stanze vuote, quasi un alloggio su quattro è disabitato e spesso nemmeno completato, come una scatola mal confezionata.
C’è poco da interrogarsi sull’ossessione costruttiva dei nostri governi: tirar su case non risponde a una domanda sociale ma ubbidisce ai nuovi comandi della rendita immobiliare convertita al gioco d’azzardo finanziario, l’edilizia ai tempi di Berlusconi, Monti, Renzi è al servizio della costruzione degli edifici virtuali dei fondi d’investimento o di risparmio gestito, oltre che degli investimenti finalizzati al riciclaggio del capitale illegale e criminale.
Per non parlare dell’altra asfissiante coazione a costruire, quella delle grandi opere, che non scema nemmeno in presenza della conversione folgorante dei suoi fan, come quel vicepresidente della Commissione Trasporti di Palazzo Madama, Stefano Esposito (Pd) che ha scoperto improvvisamente che c’è del marcio in Val di Susa. In pochi anni la spesa prevista per l’Italia della Tav è passata da 2,9 miliardi a 7,7 miliardi, circa il 165 per cento in più, mentre nei documenti del governo la cifra è sempre stata inferiore ai 3 miliardi, come indicato nel progetto definitivo all’esame del Cipe. «Se le cifre sono queste io chiedo al governo di sospendere i lavori, rinunciare all’opera e pagare le penali alla Francia», dice Esposito.
Chissà se potremmo aspirare ad altre tardive ma utili rivelazioni a proposito del Mose, dell’Expo, del Ponte di Messina, delle tratte autostradali che nessuno percorrerà in un Paese sempre più immobile sotto il peso di nuove miserie, quelle delle tasche, della speranza, dei diritti seppelliti sotto una colata di cemento maledetto.
Anna Lombroso per il Simplicissimus
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