venerdì 16 maggio 2014

Gragnano: politica, pasta e camorra

gragnano panorama

Giungi a Gragnano, paese dei monti Lattari, in provincia di Napoli e a due passi da Castellammare di Stabia e Sorrento e ti accorgi immediatamente del disordine, non solo urbanistico, nel quale è caduta questa cittadina, di circa trentamila abitanti, famosa in tutto il mondo per la pasta. Certo, dici Gragnano e dici immediatamente pasta, in particolare dei “maccaroni”, una produzione che risale addirittura alla fine del xvi secolo quando compaiono i primi pastifici a conduzione familiare. Una condizione climatica favorevole, ed un’industria che cresce e si evolve raggiungendo ogni angolo del mondo, mentre a testimonianza di quell’industria pioniera adesso è possibile ammirare la “Valle dei Mulini”. Ma Gragnano, già da allora, era  famosa per la produzione di pregiati tessuti. Bevo un caffè, rischio la multa, è quasi impossibile trovare parcheggio. "Più avanti dottore!!!", mi dice un passante. Un pastificio dismesso, adesso è più redditizio perché permette di affittare posti auto. C’è disordine a Gragnano, anche se qualcuno non lo vuole ammettere, mentre qualcun altro preferisce parlare solo di oro bianco, la pasta ovviamente, una grande eccellenza. Ma Gragnano è un comune sciolto da un decreto firmato dall’allora ministro degli interni Annamaria Cancellieri per infiltrazioni camorristiche.
“Non abbiamo nulla da spartire con questa gente”, riferisce un imprenditore. “Io ogni giorno esco di casa con le mie maestranze e so benissimo cosa vuol dire camorra”. In realtà nel decreto di scioglimento si legge che “il Comune presentava forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che comprometteva la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica”. E’ bella Gragnano, non c’è dubbio, anche se cresciuta male con palazzoni che hanno praticamente distrutto l’armonia paesaggistica e architettonica. Ma Gragnano è stata governata peggio, il sindaco della scorsa legislatura era Annarita Patriarca, figlia del senatore della Democrazia Cristiana Francesco, condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, e moglie del sindaco di San Cipriano D’Aversa Enrico Martinelli, condannato a sei anni di reclusione per lo stesso reato, quest’ultimo ritornato, dopo la scarcerazione, nella casa coniugale proprio in quel di Gragnano. Uno dei testimoni di nozze dei coniugi Martinelli-Patriarca? L’ex sottosegretario alle finanze Nicola Cosentino, la cui vicende sono ben conosciute. 
E’ influente la camorra a Gragnano, basta leggere il decreto di scioglimento del Comune per comprendere come l’indissolubile binomio criminalità-mala politica mantiene sotto scacco un intero paese. Il prossimo 25 maggio i cittadini gragnanesi ritorneranno alle urne. In corsa per le elezioni cinque candidati sindaci: Paolo Cimmino (Udc e varie liste civiche), Mario D’Apuzzo (Forza Italia, NCD e altre liste civiche), Silvana Somma (Pd e Centro Democratico), Biagio Galizia (Sinistra e Libertà) e Mario Lauritano (Fratelli D’Italia). Si rischia molto a Gragnano, perché le coalizione favorite, quelle dei candidati Cimmino, D’Apuzzo e Somma annoverano dei candidati presenti nel passato consiglio comunale commissariato per infiltrazioni camorristiche. Tanto è vero che i componenti dei giovani democratici del Partito Democratico Gragnanese hanno deciso di non partecipare alla campagna elettorale e di non sostenere nessun candidato. Ma al tavolo con la Somma, quando il centro sinistra ha iniziato a parlare di elezioni a Gragnano si erano seduti anche Cimmino e Galizia che poi si sono allontanati correndo da soli. Infine  giungono i volti nuovi di Fratelli D’Italia, da considerare sicuramente coraggiosi visto che hanno deciso di correre da soli in una  tornata elettorale a rischio inquinamento, dove si rischierà di compromettere tutto a causa di sicuri ed inevitabili condizionamenti politico-mafiosi.
di Pietro Nardiello - 14 maggio 2014

Iniziativa del Comitato: un monile-premio per i nostri amministratori

COMITATO CITTADINI PER LA TRASPARENZA E LA DEMOCRAZIA

Al Sindaco di San Giorgio del Sannio
sign. Claudio RICCI


Lo scrivente Comitato civico Per la Trasparenza e la Democrazia ha già espresso (e lo fa quotidianamente) le proprie critiche e lusinghiere valutazioni sull'operato della nostra amministrazione Ricci.
Il Sindaco legga in proposito:

A SAN GIORGIO DEL SANNIO (nè fontane leggere, nè vespasiani) ma GIARDINI ALL’AMIANTO.RESPIRATE A PIENI POLMONI BAMBINI ED ANZIANI !



Il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio lamenta la mancanza di bagni pubblici e fontane d’acqua potabile



Maggiori informazioni http://altravocedelsannio.webnode.it/news/il-comitato-cittadini-per-la-trasparenza-e-la-democrazia-di-san-giorgio-del-sannio-lamenta-la-mancanza-di-bagni-pubblici-e-fontane-dacqua-potabile/


San Giorgio del Sannio è questo ma anche altro, sussumibile nei concetti equivalenti di degrado e di illegalità: inottemperanza agli obblighi di legge sulle percentuali minime di raccolta differenziata (alias, fallimento della raccolta differenziata), edifici pubblici che nascono già obsoleti dal punto di vista e progettuale e energetico !!!!(vedi sede dell'A.s.l.), discariche di rifiuti a cielo aperto, appetiti famelici e devastanti nella zona ASI di San Giovanni, scuole fatiscenti prive di adeguati e sicuri piani di evacuazione, attentati al paesaggio come la squallida mattanza dei tigli storici di Viale Spinelli e Via dei Sanniti, etc. etc.etc.etc.

D'altronde, ecco come il Sindaco espleta (si fa per dire) il suo ruolo di guida della comunità sangiorgese ridotta ad uno stato comatoso-vegetativo...



Altri Comuni limitrofi se non sono all'avanguardia, di certo vivono il millennio in corso, con ben altra lungimiranza e, soprattutto, attenzione all'ecologia e ai servizi dei cittadini.

Calvi tra qualche giorno (19 maggio)  inaugurerà il distributore pubblico di latte fresco, ed ha già una bellissima fontana di acqua pubblica (oltre agli indispensabili bagni chimici, che il villaggio di San Giorgio omette di installare persino nella sua annuale e kitsch sagra della salsiccia, del kebab e dei bagordi!)

I cittadini del feudo sangiorgese asservito agli interessi speculativi della grande distribuzione del mercante Barletta quanto dovranno aspettare per avere distributori e punti di ristoro pubblici per i viandanti e i residenti ?
O un parco con tutte le attrezzature minime essenziali per picnic all'aperto e per fruire la natura, se la logica del profitto porta a selvagge edificazioni contra legem in zone destinate a parcheggio o verde pubblico dallo stesso Piano Regolatore ?
O il depuratore a Cesine finanziato con i fondi della Comunità Europea, avviato circa tre anni fa e poi abbandonato ? Perchè? Che fine hanno fatto quei soldi pubblici?
E che sorte hanno avuto i soldi per la bonifica dell'ex area a discarica a San Giovanni in cui sono in atto scarichi e scavi anomali ?

Gli attivisti del Comitato civico, tutto ciò premesso e considerato, 
hanno deciso di premiare
il Sindaco Claudio Ricci e la sua squadra di amministratori per l'inconcepibile degrado e arretratezza culturale e morale di cui sono "capaci" e con cui tengono in ostaggio la cittadina sangiorgese.

Lo faranno con svariate iniziative in fieri, ma prima fra tutte il conferimento di un pregiato monile al sindaco e agli assessori, che è un atto minimo e dovuto se in questo 
 paesotto dai mille disservizi, roccaforte del PD, terra di conquista di palazzinari e della criptomafia a livello politico-amministrativo, altro non è per la cittadinanza che un villaggio da terzo mondo.

UN ANELLO AL NASO !!!


Certi di farvi cosa gradita, avvertiamo che seguiranno circostanziate denunce alla magistratura ordinaria e alla Corte dei Conti.

La coordinatrice del Comitato
Rosanna Carpentieri

Leggi anche:

http://www.infosannionews.it/?p=69463 

(La coordinatrice del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio Rosanna Carpentieri in una nota lamenta i mille disservizi che la comunità sangiorgese è costretta a vivere quotidianamente.)

giovedì 15 maggio 2014

Chi indovina il premio con cui fregeremo il sindaco Ricci e gli amministratori ?

Da Il Quaderno del  15 maggio 2014

S. Giorgio del Sannio. Il Comitato per la Trasparenza e la Democrazia denuncia il degrado cittadino

Rosanna Carpentieri

Il Comitato civico per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio ha già espresso critiche sull'operato dell’amministrazione Ricci e continua a farlo in relazione alle percentuali minime di raccolta differenziata, agli edifici pubblici che nascono già obsoleti dal punto di vista e progettuale e energetico, le discariche di rifiuti a cielo aperto, gli appetiti nella zona ASI di San Giovanni, gli attentati al paesaggio come la mattanza dei tigli di Viale Spinelli e Via dei Sanniti. “Altri Comuni limitrofi se non sono all'avanguardia, di certo vivono il millennio in corso, con altra lungimiranza e attenzione all'ecologia e ai servizi dei cittadini. I cittadini sangiorgesi quanto dovranno aspettare per avere distributori e punti di ristoro pubblici per i viandanti e i residenti? O un parco con tutte le attrezzature per picnic all'aperto e per fruire la natura? O il depuratore a Cesine finanziato con i fondi della Comunità Europea, avviato circa tre anni fa e poi abbandonato? E che sorte hanno avuto i soldi per la bonifica dell'ex area a discarica a San Giovanni in cui sono in atto scarichi e scavi anomali? Gli attivisti del Comitato civico – ha sottolineato in una nota Rosanna Carpentieri, coordinatrice del Comitato - hanno deciso di premiare il sindaco Claudio Ricci e la sua squadra di amministratori per il degrado e l’arretratezza culturale e morale di cui sono capaci e con cui tengono in ostaggio la cittadina. Inoltre seguiranno circostanziate denunce alla magistratura ordinaria e alla Corte dei Conti”.

mercoledì 14 maggio 2014

Quello che Saviano star NON DICE

roberto saviano
Quello che Saviano non dice: cioè se è vero che Impregilo e ABI sarebbero i principali “emissari” dell’emergenza rifiuti in Campania. Sulla quale hanno guadagnato.
“La realtà è più complessa di quella che Saviano ha rappresentato nei suoi interventi in televisione o su Repubblica. Non solo Saviano ha detto alcune cose che non corrispondono a verità, ma vi sono anche cose che non sono state dette.
L’emergenza dei rifiuti urbani non è stata determinata dalla camorra, ma da un intreccio spaventoso di interessi finanziari di grandi banche, Intesa San Paolo, la stessa ABI,  Impregilo e la classe politica. C’è un processo a Napoli che vede implicati la FIBE, Bassolino e Impregilo,e nessuno ne parla. Se continuiamo a dare alla camorra la colpa di tutto, non facciamo un buon servizio alla verità.”
(Patrizia Gentilini, oncologo, sulle affermazioni fatte da Saviano nella trasmissione “Vieni via con me”.)
Chi conosce la realtà, a partire da quella giudiziaria, dell’emergenza rifiuti in Campania, ha ben chiaro questo schema:
1. Mandanti: grandi multinazionali e banche del nord;
2. Esecutori materiali: politica “nazionale” e apparati deviati dello stato.
3. Ultima ruota di questo carro infame: politica locale e criminalità organizzata, ovvero manovalanza locale.
Nel genere Fantasy di stampo lombrosiano in cui Saviano è maestro, invece:
1. Mandanti: non esistono. Se proprio vi accenna, stando ben attento a non fare nomi, è per giustificarli:  “Le aziende del nord appaltano lo smaltimento dei rifiuti a ditte apparentemente legalizzate che riescono a fare enormi sconti: specialmente in una congiuntura economica come questa, possono fare la differenza tra sopravvivere e fallire”.
2. Esecutori materiali: non pervenuti.
3. Ultima ruota del carro: è tutta colpa loro. Dei politici locali, e quindi dei campani che li hanno votati: “Chi sono i responsabili di questo disastro ambientale e umano? (…) possiamo poi risalire fino a coloro i quali, plebiscitariamente eletti, hanno rappresentato il potere in Campania negli ultimi anni. Due personalità si stagliano in questo scenario di morte: Antonio Bassolino e Nicola Cosentino”.
E allora facciamo noi ciò che Saviano evidentemente non è in grado di fare: partiamo dai “vertici”, ovvero dalla multinazionale Impregilo, insieme a FIBE e FIBE Campania (aziende del gruppo FISIA, a sua volta controllata al 100% da Impregilo), e dalle banche (ABI).
“Sul meccanismo che ha portato a sommergere la campania sotto cumuli di rifiuti non ci possono più essere dubbi. Questo meccanismo è la sistematica violazione dell’ordinanza con cui, dal marzo 1998, l’allora ministro degli interni Giorgio Napolitano aveva delineato i termini con cui avrebbe dovuto essere affrontata la crisi dei rifiuti. L’elettricità prodotta dagli inceneritori avrebbe goduto, per un periodo di 8 anni, degli incentivi CIP6, cioè di un prezzo di cessione dell’elettricità generata con i rifiuti 4 volte superiore al costo di produzione di un ordinario impianto termoelettrico.”
Dalle perizie di Paolo Rabitti, documentate nel volume Ecoballe (Aliberti editore), possiamo apprendere nel dettaglio come innescando la crisi dei rifiuti in Campania è stato possibile ricavare un fiume di danaro.
Prima violazione: scelta a favore del cosiddetto “tutto fuoco“. Si bruciano tutti i rifiuti prodotti dalla regione, non solo la parte residua della raccolta differenziata: più si brucia, più si guadagna. Ancor più grave, si affida ad un privato, ovvero l’impresa vincente, un compito che dovrebbe spettare alle istituzioni pubbliche, ovvero scegliere i siti dove costruire gli impianti.
Seconda violazione, relativa all’aggiudicazione del servizio. Viene scelto il progetto Fisia-Impregilo, che la commissione tecnica giudica il peggiore tra quelli presentati (era obsoleto già 12 anni fa). Inoltre l’impresa subordina la validità della sua offerta all’accettazione di una nota del tutto illegale dell’ABI, che mette al bando la raccolta differenziata di plastica e carta – gli unici materiali combustibili che possono alimentare un inceneritore – attraverso la formula deliver or pay. I comuni devono pagare a chi gestisce gli impianti la stessa tariffa, sia che facciano la raccolta differenziata o no. Lo scopo è massimizzare gli incassi da produzione di energia elettrica: più rifiuti ci sono, più si guadagna.
Terza violazione: cancellate dolosamente dal contratto le clausole che obbligano l’appaltatore a bruciare i rifiuti combustibili in altri impianti fino al completamento dell’inceneritore. Tali clausole obbligherebbero l’appaltatore a pagare il servizio a altri operatori, perdendo gli incentivi CIP6: meglio allora impacchettare quel tesoro in migliaia di “ecoballe”. Se poi la realizzazione dell’inceneritore tarda e le ecoballe diventano milioni, che importa? Valgono tant’oro quanto pesano, tanto è vero che le banche (ecco che torna in campo l’ABI) le accetteranno a garanzia dei prestiti concessi, come fossero tanti barili di petrolio: quelle accumulate nel solo 2007 valevano già un miliardo e mezzo di euro.
Quarta violazione: se gli stoccaggi illeciti costano troppo, si mette a carico del commissario, cioè di tutti, la differenza tra il prezzo pagato alla camorra, proprietaria delle aree di stoccaggio, e quello che l’appaltatore aveva indicato nella sua offerta al ribasso. Una porta spalancata alla camorra, che affitta camion per portare le ecoballe in giro per tutta la regione e i terreni dove accumularle.
Quinta violazione: per produrre più ecoballe si fanno lavorare i CDR al di sopra delle loro capacità, si sospende la manutenzione e li si mette fuori uso. Con gli impianti fuori uso e le discariche piene, i rifiuti si accumulano per le strade e l’emergenza torna a farsi pressante. tanto da giustificare nuove ordinanze, nuove deroghe, e nuovi impianti con lucrosi incentivi. Non più un solo inceneritore ma 4, e tutti con gli incentivi CIP6, aboliti nel resto dell’italia e fuorilegge per la commissione europea.
“Da diverse conversazioni intercettate – scrive Rabitti – emerge il sistematico ricorso al blocco della ricezione dei rifiuti come strumento di pressione per avere le autorizzazioni agli stoccaggi e per giustificare i provvedimenti”.
L’appalto per lo smaltimento dei rifiuti
Nel 2000 la F.I.B.E (Fisia – Impregilo – Babcock – Evo, ossia Energieversorgung Oberhausen Ag) si aggiudica l’appalto per l’intero ciclo di raccolta e smaltimento industriale dei rifiuti. Fibe e Fibe Campania sono aziende del gruppo Fisia, controllata al 100% da Impregilo. L’appalto prevede  la costruzione di sette impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti e di due inceneritori, nonché la creazione di diverse discariche in campania. Commissario straordinario è il nuovo presidente della regione Antonio Bassolino.
La società vince l’appalto perché offre un prezzo per lo smaltimento dei rifiuti decisamente più basso delle altre imprese concorrenti, e tempi più rapidi per la consegna degli impianti , mentre la qualità del progetto presentato è decisamente scadente rispetto a quello presentato dall’altra concorrente ATI. A seguito di inefficienze e ripetute violazioni delle norme igieniche, Fibe non consegna entro i termini l’impianto di termovalorizzazione di Acerra, e realizza impianti che producono ecoballe troppo umide, inutilizzabili per la produzione di CDR.
Ciononostante  Fibe continua per anni a produrre ecoballe che non possono essere bruciate, sia per assenza del termovalorizzatore, sia perché non a norma. Se ne accumulano così 5 milioni, corrispondenti a 6 milioni di tonnellate di rifiuti non smaltibili tramite termovalorizzazione, stoccate in giro per la regione.
Fonte: Commissione Bicamerale d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, XIV Legislatura, relazione sulla Campania.
Le inchieste della magistratura
Nel Giugno 2007 la Magistratura di Napoli decide il congelamento dei conti correnti italiani del Gruppo Impregilo, per un valore di 750 milioni di euro, oltre all’interdizione dai lavori di pubblica amministrazione inerenti all’intero ciclo dei rifiuti per un anno. Il 31 luglio 2007 la Procura della Repubblica di Napoli deposita le richieste di rinvio a giudizio.
I reati contestati sono: truffa aggravata e continuata ai danni dello stato, frode in pubbliche forniture,  falso ed abuso d’ufficio. 28 gli imputati: tra questi Antonio Bassolino, insieme ai suoi collaboratori diretti (Giulio Facchi, Raffaele Vanoli), e soprattutto Piergiorgio Romiti ePaolo Romiti, vertici della Impregilo. Le società coinvolte nell’inchiesta sono Impregilo,  Fibe, Fisia Italimpianti,  Fibe Campania – Gestione Napoli.
Le imprese sono accusate dalla procura di aver progettato inceneritori non idonei e prodotto ecoballe di CDR scadente o inutilizzabile; tali irregolarità, inoltre, sarebbero state possibili solo grazie alla complicità e connivenza del commissariato per l’emergenza, che avrebbe omesso i controlli previsti.
Nel frattempo, un’inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza vede indagato anche il ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio per associazione a delinquere e corruzione per rapporti ipotizzati dai magistrati con imprenditori legati allo smaltimento dei rifiuti.
Il 27 maggio 2008 vengono arrestate 25 persone, come risultato dell’inchiesta per epidemia colposa denominata “Rompiballe”. Tra gli arrestati Marta Di Gennaro (vice di Bertolaso all’epoca del suo commissariato)  e rappresentanti di aziende collegate al Commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania, fra cui l’amministratore delegato di Fibe S.p.A. Massimo Malvagna. Le accuse vanno dal traffico illecito di rifiuti al falso ideologico e truffa ai danni dello Stato.
Anche il Prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, riceve nella stessa data un’informazione di garanzia circa presunte irregolarità in atti relativi alla società FIBE. Il 24 luglio 2008 la posizione del commissario Bertolaso e degli ex commissari Catenacci e Pansa viene stralciata per decisione della Procura, peraltro contestata da alcuni dei sostituti procuratori.
Il 17 dicembre 2009 il Tribunale di Napoli dispone però la trasmissione di tutti gli atti d’indagine alla Procura di Roma, poiché nell’inchiesta è coinvolto, sia pure con richiesta di archiviazione, anche il PM della procura napoletana Giovanni Corona, ex consulente giuridico del commissariato. L’inchiesta viene dirottata nel cosiddetto porto delle nebbie.

L’innominabile Impregilo
E’ principale gruppo italiano nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria per dimensioni e fatturato, si occupa di  infrastrutture per il trasporto, ciclo di trattamento delle acque reflue e dissalatori e opere per l’ambiente. Per estensione e localizzazioni costituisce una multinazionale: è il primo general contractor italiano nel settore delle grandi opere.
Negli anni 1989 e 1990, FIAT IMPRESIT e COGEFAR si unirono nella COGEFAR-IMPRESIT. Successivamente furono incorporate le società GIROLA e LODIGIANI, diventando IMPRE-GI-LO. A seguire fu incorporata anche la società d’ingegneria Castelli. Presidente del gruppo era Franco Carraro(1994 – 1999).
L’assetto azionario (IGLI) dal 2007  è suddiviso al 33% da ARGOFIN (Gruppo Gavio), Autostrade (famiglia Benetton) e Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti).
Presidente e amministratore delegato: Fabrizio Palenzona e Alberto Rubegni. Comitato esecutivo: Antonio Talarico, Giovanni Castellucci, Beniamino Gavio, Andrea Novarese e Giuseppe Piaggio.
Le denunce di Rosaria Capacchione e Walter Ganapini
A tutto questo quadro, già di per sè molto edificante, vanno aggiunte la denuncia di Rosaria Capacchione (giornalista sotto scorta per minacce di morte da parte della camorra) sui contatti tra servizi segreti e camorra, e quella di Walter Ganapini, assessore all’ambiente della regione Campania, che denuncia di essere stato chiamato per due volte dal capo dei servizi segreti, che gli avrebbe urlato del coinvolgimento della presidenza della repubblica nella vicenda di Parco Saurino.
Lorenzo Piccolo

Rosanna Carpentieri: Comune francese regala galline agli abitanti per ridurre l’organico, lo farà anche il sindaco di San Giorgio del Sannio ?

Da Info Sannio News del 14.05.2014

A San Giorgio, il Comune omette di rispondere ai cittadini che non conferendo la frazione organica hanno chiesto a norma di legge un’equa riduzione della tariffa, dichiara Rosanna Carpentieri del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia. 

L’assessore Saccavino stavolta risponderà ?

“Una nuova forma di gestione del rifiuto organico che può essere adottata ovunque ; a Parigi sono in voga pollai da balcone: le galline ovaiole, al posto delle compostiere, dice Rosanna Carpentieri.

Barsac è un paesino di 2.100 abitanti della Gironda e il suo sindaco ha avuto un’idea geniale per la riduzione dei rifiuti organici. Invece di dotare i suoi cittadini di compostiera, il sindaco, Philippe Meynard, ha donato una coppia di galline a circa 150 famiglie. Questa scelta nasce da un calcolo sulla riduzione dei rifiuti organici: in un anno ogni coppia di volatili utilizza circa 300 kg di rifiuti alimentari domestici (pane secco, scarti di frutta e verdura, etc…), produce 400 uova e 20 kg di pollina, ottimo concime per gli orti familiari.

Le famiglie che hanno ricevuto in dono la coppia di galline si sono impegnate a tenerle per due anni, a curarle e a non introdurre galli nel loro pollaio. In cambio hanno ricevuto il permesso per vendere le uova in eccedenza al mercato locale creando una sorta di filiera informale cortissima.

L’idea è stata già copiata da diversi sindaci della zona e di altre aree rurali francesi. L’amministrazione comunale di Podensac, un altro paese della Gironda, ha calcolato che distribuendo 1.000 galline si eviterebbe lo smaltimento di 150 tonnellate di rifiuti alimentari con un risparmio per le casse comunali di 15.000€.

In Italia ci sarà qualche sindaco che ha il coraggio di sfidare la cultura dominante della green economy affaristica e tecnologica?

Ne dubitiamo fortemente. Almeno, di questo sindaco virtuoso e lungimirante non c’è neppure l’ombra a San Giorgio del Sannio (BN) ; qui, nè compostiere nè galline da balcone come avevamo suggerito. Ma vi è di più. Nel paese che annovera ben due zone a vocazione spiccatamente rurale (Cesine e San Giovanni) e detiene – vergognosamente- il primato del maggiore rifiuto organico prodotto in centro, da bar , ristoranti e utenze familiari, il Comune da mesi omette di rispondere , violando la legge, a quei cittadini-nuclei familiari che hanno rappresentato di praticare l’autocompostaggio domestico e, quindi, di non avvalersi del servizio rifiuti per il conferimento della frazione organica dei rifiuti, chiedendo consequenzialmente una equa riduzione della relativa tariffa. A titolo esemplificativo, risalgono al lontano 29 ottobre 2013 (Prot. Comune nn. 19813 e 10814 ) delle istanze indirizzate all’Ufficio Tributi dell’Ente per la riduzione della TARSU a norma dell’art.17 del D.L. 201/2011 conv. in Legge.214/2011 e in conformità della Delibera Giunta Regione Campania n.384 del 31/07/2012. Ad oggi, ancora nessuna risposta da parte della sign.ra Chiavelli responsabile dell’Ufficio preposto, pertanto ci rivolgiamo pubblicamente all’assessore all’Igiene Urbana, Saccavino, diffidandolo ad un immediato riscontro.

A quest’ultimo ci preme ricordare che non è con demenziali e costosi manifesti oppure con i recenti slogan disinformativi (“la Tari sarà più leggera per i cittadini” ) che si prende atto e si provvede a livello sia politico che amministrativo in merito al conclamato fallimento della raccolta differenziata porta a porta nel nostro Comune !

In verità l’assessore più volte non ha saputo rispondere alla basilare quanto elementare domanda: “Assessore chi controlla la ditta L’Igiene Urbana s.r.l. ovvero il soggetto gestore del ciclo rifiuti urbani ?”.

Di conseguenza, l’assessore non ha saputo o voluto rispondere neppure in merito alla anomala preferenza della ditta nella raccolta della frazione indifferenziata, a discapito del multimateriale destinato al recupero e al riciclo, e lasciato per giorni e giorni non prelevato dinanzi alle residenze!

In tutto questo c’è qualcosa che non ci torna, egregio assessore.

Evidentemente la frazione differenziata e riciclabile non viene prelevata regolarmente perchè “non si sa che farsene” e ci risparmi per cortesia l’offesa alla nostra intelligenza col suo “girarci attorno”.

Ciò fa tutt’uno col suo reiterato e assordante silenzio in merito ad altra nostra legittima istanza pubblica che reiteriamo: chiarire alla cittadinanza e una volta per tutte il CICLO DEI RIFIUTI ! Io -in uno col comitato civico che rappresento- esigo di sapere a quali discariche viene avviata la frazione non differenziata e con quali costi a carico della collettività, e a quali impianti di recupero viene conferita la scarna frazione differenziata riciclabile e con quale risparmio per la collettività.

E’ con la trasparenza , l’informazione veritiera, la verifica tangibile dei risultati e il concreto risparmio in bolletta, non certo con risibili manifesti, che si raggiunge l’ottemperanza ad obblighi di legge (differenziare e riciclare sono obblighi di legge!) e la cittadinanza è messa nelle condizioni di valutare e toccare con mano la convenienza e virtuosità elementare della differenziazione dei rifiuti e il superamento culturale della nozione stessa di rifiuto, da concepirsi correttamente come “nuova materia”. Il sistema sangiorgese dei rifiuti è estremamente opaco, assessore Saccavino !

Noi non vogliamo conoscere solo dati numerici, ma vogliamo che ci siano svelati TUTTI i dati che riguardano il recupero e lo smaltimento della materia conferita, cioè TUTTO IL CICLO DEI NOSTRI RIFIUTI: discariche, impiantistica, soggetti proprietari o aziende (pubbliche o private) che si occupano DOPO IL PRELIEVO dalle nostre residenze, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti.

I cittadini non sanno che farsene dei suoi manifesti e delle sue trovate demagogiche, vogliono garanzie certe e conoscenza , perchè -Le sia chiaro- non si fidano più delle cd. istituzioni, spesso e volentieri colluse con le eco-mafie e “inquinate” da interessi privati, “troppo privati”.

In mancanza dei dovuti chiarimenti nel senso richiesto, chi toglierà ai cittadini sangiorgesi la sensazione che venga loro richiesto di partecipare ad una farsa, quella della differenziata, su cui è ora che indaghi la Corte dei Conti ?

Un’ultima cosa assessore: come più volte denunciato pubblicamente, in via Cesine ci sono discariche abusive a cielo aperto.

Cosa dobbiamo fare ? Tenercele a vita? Improvvisarci struzzi ? Aspettare le sue dimissioni ?

Ci dica, grazie. 


La coordinatrice - Rosanna Carpentieri


Si legga anche:

P.S.
Qui nella delibera del Consiglio Comunale n.14 del 20.05.2014 di approvazione delle tariffe  TARI 2014 il dato allarmante della quantità e della tipologia dei rifiuti prodotti nel territorio comunale.
Spiccano i rifiuti urbani NON DIFFERENZIATI e i rifiuti biodegradabili di cucina.

Qui invece in tabella un succinto prospetto tutto da verificare in particolare sul versante degli impianti di trattamento e delle ditte di conferimento (gestiscono anche discariche ? ) sulla DESTINAZIONE DEI RIFIUTI: troppo poco per trarre una visuale sul riciclo e la trasformazione in nuova materia (recupero) della frazione DIFFERENZIATA. 

Ancora una volta, anche nella recente delibera di approvazione delle tariffe TASI, nulla è previsto per quanti non conferiscono al servizio comunale la frazione organica differenziata , optando per forme di autocompostaggio domestico oppure allevando a tale scopo galline.

venerdì 9 maggio 2014

I magistrati e la sindrome della menzogna

I MAGISTRATI E LA SINDROME DELLA MENZOGNA.
Quando il Potere giudiziario si nutre di pregiudizi e genera ingiustizia. Così scrive il dr Antonio Giangrande, sociologo storico e scrittore che sul tema ha scritto dei saggi pubblicati su Amazon.it.
Parliamo di menzogne nelle aule di giustizia. I magistrati di Taranto del processo sul delitto di Sarah Scazzi, requirenti con a capo il Pubblico Ministero Pietro Argentino e giudicanti con a capo Rina Trunfio, hanno fondato le richieste e le condanne sull’assunto che il delitto di Avetrana è una storia di bugie, pettegolezzi, chiacchiere, depistaggi. Menzogne e reticenze dei protagonisti e dei testimoni e se non questo non bastasse anche di tutta Avetrana.
Ed ecco il paradosso che non ti aspetti. È proprio l’alto magistrato pugliese Pietro Argentino a rischiare di dover fare i conti adesso con la giustizia, dopo che il Tribunale di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di Taranto, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per indagare sul reato di falsa testimonianza proprio del procuratore aggiunto Argentino. Il pm dovrà inoltre valutare la posizione di altre 20 persone, tra le quali molti rappresentanti delle forze dell’ordine. La decisione della Corte è arrivata alla fine del processo che ha visto la condanna a 15 anni di reclusione per l’ex pm di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato per concussione e corruzione semplice.
Eppure Pietro Argentino è anche il numero due della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Ciò nonostante a me tocca difendere proprio i magistrati Tarantini che di me hanno fatto carne da macello, facendomi passare senza successo autore della loro stessa infamia, ossia di essere mitomane, bugiardo e calunniatore.
Come dire: son tutti bugiardi chi sta oltre lo scranno del giudizio. Ma è proprio così?
Silenzio in aula, prego. Articolo 497 comma 2 del Codice Penale, il testimone legga ad alta voce: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Il microfono fischia, la voce si impaccia, qualcuno tentenna sul significato della parola «consapevole». Poi iniziano a piovere menzogne. Il giudice di Aosta Eugenio Gramola - sì, quello del caso Cogne - ha lanciato l’allarme a Niccolò Canzan sul suo articolo su “La Stampa” : «Ci prendono per imbecilli. È incredibile come mentano con facilità davanti al giudice. Sfrontati, fantasiosi. Senza la minima cura per la plausibilità del racconto. Orari impossibili, contraddizioni lampanti, pasticci. L’incidenza dei falsi testimoni è molto superiore a una media fisiologica, si attesta tra il 70 e l’80 per cento». Sette su dieci mentono, in Valle d’Aosta. Sembra uno di quei casi in cui la geografia potrebbe significare qualcosa. L’Italia un Paese di bugiardi, quasi una tara nel codice genetico: «Chi mente al giudice è furbo - dice Gramola -. Essere bugiardo fa ridere, piace, non comporta disvalore sociale. Mentre indicare la menzogna come un grave atto contro la Giustizia è da biechi moralisti e puritani».  Totò e Peppino erano all’avanguardia, è risaputo. «Caffè, panini, false testimonianze!», urlavano nel 1959 nel film «La Cambiale». Dall’alto della civilissima Valle d’Aosta, al cospetto di storie magari più piccole eppure significative, il giudice Gramola ha un guizzo d’orgoglio: «Certe volte, più che a testimoni ci troviamo di fronte ad amici delle parti in conflitto. E questi bugiardi sono poi magari gli stessi che si scagliano contro una giustizia che non funziona».
D’altro canto la procura di Milano ha rinviato a giudizio tutti i testimoni della difesa nel cosiddetto “processo Rubi”, che sono 42, più i due avvocati della difesa: in tutto 44. Ora, pensare che 42 testimoni fra i quali deputati, senatori, giornalisti, funzionari di polizia abbiano, tutti, giurato il falso, è una cosa a dir poco stravagante, scrive Luigi Barozzi. Il capo d’accusa non è ancora definito, ma andrà probabilmente dalla falsa testimonianza alla corruzione in atti giudiziari. In soprannumero, anche i legali verranno rinviati a giudizio, e al normale cittadino sorgono alcuni dubbi.
- E’ mai possibile che 42 persone, di varia provenienza sociale e professionale, siano tutti bugiardi-spergiuri o peggio?
- E’ mai possibile che lo siano pure i legali della difesa i quali, in un società civile, incarnano un principio quasi sacro: il diritto dell’imputato, anche se si tratta della persona peggiore del mondo, di essere difeso in giudizio?
- Non sarà, per caso, che la sentenza fosse già scritta e che il disturbo arrecato dai testi della difesa alla suddetta sentenza abbia irritato la Procura di Milano tanto da farle perdere la trebisonda? 
Trattando il tema della menzogna ci si imbatte frequentemente in definizioni che fanno uso di molti sinonimi quali inganno, errore, finzione, burla, ecc…, le quali, anziché restringere i confini semantici del concetto di menzogna, tendono ad allargarli creando spesso confusione, scrive Il valore positivo della bugia - Dott.ssa Maria Concetta Cirrincione - psicologa. Un primo tentativo per circoscrivere tale area semantica consiste nel definire la differenza tra menzogna e inganno. La menzogna e il suo sinonimo bugia, usato prevalentemente in relazione all’infanzia, và considerata una modalità tra le altre di ingannare, perciò possiamo definirla come una sorta di “sottoclasse “ dell’inganno. La sua caratteristica distintiva consiste nel fatto di essere essenzialmente un atto comunicativo di tipo linguistico, ossia la rivelazione di un contenuto falso attraverso la comunicazione verbale o scritta. Questo impone la presenza di almeno un comunicatore, di un ricevente e di un messaggio verbale che non corrisponde a verità. L’inganno si esplica invece, non solo attraverso l’atto comunicativo della menzogna, ma anche attraverso comportamenti tesi ad incidere sulle conoscenze, motivazioni, aspettative dell’interlocutore. (De Cataldo Neuburgher L. , Gullotta G., 1996). Secondo questa prospettiva, l’omissione di informazioni non è tanto una menzogna, quanto un inganno. La comunicazione è una condizione sufficiente ma non necessaria perché si possa ingannare. A volte si inganna facendo in modo che:
- l’altro sappia qualcosa di non vero (es: A va sul tetto e fa cadere acqua dalla grondaia, B vede l’acqua e viene ad assumere che piove);
- l’altro creda qualcosa di non vero (es: B guardando l’acqua fuori dalla finestra, commenta: “piove”, e A non lo smentisce);
- l’altro non venga a conoscenza della verità (A chiude l’altra finestra dalla quale non si vede l’acqua cadere, in modo che B continui a credere il falso);
L’inganno, quindi, si esplica attraverso qualsiasi canale verbale e non verbale (mimica facciale, gestualità, tono di voce), mentre la menzogna utilizza specificatamente il canale verbale. Mentire è un comportamento diffuso, tipicamente umano, non è tipico dell’adolescenza, né necessariamente un indice di psicopatologia; di solito viene valutato infatti da un punto di vista etico più che psicopatologico. Non appena i bambini sono in grado di utilizzare il linguaggio con sufficiente competenza sperimentano la possibilità di affermare a parole una verità del desiderio e del sentimento diversa da quella oggettiva.
E’ noto che i bambini non hanno la stessa proprietà di linguaggio degli adulti, per cui spesso gli adulti chiamano bugia ciò che per il bambino è espressione di paure, di bisogno di rassicurazione o di percezione inesatta della realtà. Si può parlare di bugia quando si nota l’intenzione di “barare”, e comporta un certo livello di sviluppo. Nei bambini avviene come messa alla prova per misurare poi la reazione degli adulti al suo comportamento. Nel crescere assume anche altri significati poiché dipende da diverse variabili; può dipendere dalla situazione che si sta vivendo, dalla persona alla quale è rivolta o dallo scopo che si vuole raggiungere. E’ utile pertanto una classificazione che ci permetta di orientarci meglio al suo interno, sebbene tale classificazione può risultare artificiosa dal momento che i vari tipi di menzogna tendono spesso a sovrapporsi e a confondersi tra loro. Si possono distinguere (Lewis M., Saarni C. , 1993):
bugie caratteriali (bugie di timidezza, bugie di discolpa, bugie gratuite);
bugie di evitamento (evitare la punizione, difendere la privacy);
bugie di difesa (bugie per proteggere se stessi o gli altri);
bugie di acquisizione (bugie per acquistare prestigio, per ottenere un vantaggio);
bugie alle quali lo stesso autore crede (pseudologie);
autoinganno.
BUGIE DI TIMIDEZZA: una motivazione che può spingere a raccontare bugie è la timidezza. Alla sua radice c’è una concezione negativa di se stessi; i timidi affrontano la vita con la sensazione di essere inferiori rispetto alla maggioranza degli altri esseri umani e questo modo di pensare condiziona le loro relazioni in molteplici modi. Uno di questi è la tendenza a raccontare menzogne per apparire migliori agli occhi degli altri, per nascondersi, per evitare situazioni sociali nelle quali si sentirebbero inadeguati e imbarazzati.
BUGIE DI DISCOLPA: ci sono menzogne che derivano dalla necessità di discolparsi da accuse più o meno fondate. E’ un atteggiamento diffuso nei bambini che può permanere in soggetti adulti insicuri nei quali spesso si riscontra un sentimento d’inferiorità e l’incapacità di affrontare le proprie responsabilità.
BUGIE GRATUITE: generalmente dietro alla maggior parte delle bugie si nasconde un bisogno, un desiderio, uno scopo che il soggetto vuole raggiungere. Spesso invece ci troviamo di fronte a menzogne che non lasciano intuire che cosa vuole raggiungere il soggetto, sono le bugie che vengono raccontare per puro divertimento, per allegria, per dare sfogo alla fantasia.
BUGIE PER EVITARE LA PUNIZIONE: evitare la punizione è un motivo molto comune delle bugie degli adulti, ma prevalentemente dei bambini. Questi ultimi imparano a mentire ben presto quando si rendono conto di aver commesso una trasgressione, già a 2-3 anni essi sono in grado di attuare degli inganni in contesti naturali come la famiglia.
BUGIE PER DIFENDERE LA PRIVACY: la salvaguardia della privacy è un motivo che spinge spesso i ragazzi adolescenti, ma anche gli adulti, a raccontare bugie. Nell’adolescenza emerge nei ragazzi il bisogno di crearsi uno spazio proprio, di decidere se raccontare o meno le loro esperienze e le loro emozioni. Se da un lato ciò deve essere rispettato dai genitori, dall’altro costituisce un problema a causa del loro bisogno di protezione nei confronti del figlio.
BUGIE PER PROTEGGERE SE STESSI O GLI ALTRI: nella vita di ogni giorno ci sono svariate situazioni che portano una persona a mentire per proteggere se stessa o i sentimenti di persone care. Se alla nostra festa di compleanno riceviamo un regalo che non ci piace o quanto meno lo consideriamo inutile, è molto improbabile che lo diremo chi ce l’ha donato; è probabile invece che, dissimulando la delusione, ci mostreremo entusiasti. Gli adulti mentono per cortesia e questa regola sociale viene ben presto assimilata anche dai bambini. Essi imparano a proteggere i sentimenti degli altri attraverso un’istruzione diretta data dai genitori, ma anche indirettamente osservandone il comportamento.
BUGIE PER ACQUISTARE PRESTIGIO: sono delle bugie compensatorie che traducono non tanto la ricerca di un beneficio concreto, ma la ricerca di un’immagine che il soggetto ritiene perduta o inaccessibile: si inventa una famigli più ricca, più nobile o più sapiente, si attribuisce dei successi scolastici o lavorativi. In realtà questa bugia è da considerarsi normale nell’infanzia e finchè occupa un posto ragionevole nell’immaginazione del bambino. Tale condotta viene considerata banale fino ai 6 anni, la sua persistenza oltre tale età segnala invece spesso delle alterazioni psicopatologiche.
PSEUDOLOGIE: sono delle bugie alle quali lo stesso autore crede. Più specificatamente viene definita “pseudologia fantastica” una situazione intenzionale e dimostrativa di esperienze impossibili e facilmente confutabili (Colombo, 1997). E’ un puro frutto di immaginazione presente in bugiardi patologici ed è una caratteristica tipica della Sindrome di Mùnchausen.
AUTOINGANNO: il mentire a se stessi è un particolare tipo di menzogna che ci lascia interdetti e confusi dal momento che il soggetto è contemporaneamente ingannatore e ingannato. L’autoinganno è l’inganno dell’Io operato dall’Io, a vantaggio o in rapporto all’Io (Rotry, 1991). In esso vengono messi in atto meccanismi di difesa come la razionalizzazione e la denegazione. Attraverso la razionalizzazione il soggetto inventa spiegazioni circa il comportamento proprio o altrui che sono rassicuranti o funzionali a se stesso, ma non corrette. Il soggetto da un lato può celare a se stesso la reale motivazione di alcuni comportamenti ed emozioni, e dall’altro riesce a nascondere ciò che sa inconsciamente e non vuole conoscere. Attraverso la denegazione, invece, il soggetto rifiuta di riconoscere qualche aspetto della realtà interna o esterna evidente per gli altri. Potremo fare l’esempio dell’alcolista che mente a se stesso dicendosi che non ha nessun problema o delle famiglie in cui si fa “finta di niente, finta di non capire”.
Intanto per i magistrati coloro che si presentano al loro cospetto son tutti bugiardi. Persino i loro colleghi che usano lo stesso sistema di giudizio per l’altrui valutazione.
Eppure Pietro Argentino è il numero 2 della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati, scrive Augusto Parboni su “Il Tempo”. È l’alto magistrato pugliese Pietro Argentino a rischiare di dover fare i conti adesso con la giustizia, dopo che il Tribunale di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di Taranto, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per indagare sul reato di falsa testimonianza proprio del procuratore aggiunto Argentino. Il pm dovrà inoltre valutare la posizione di altre 20 persone, tra le quali molti rappresentanti delle forze dell’ordine. La decisione della Corte è arrivata alla fine del processo che ha visto la condanna a 15 anni di reclusione per l’ex pm di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato tre giorni fa per concussione e corruzione semplice. Al termine del processo, ecco abbattersi sulla procura di Taranto la pensate tegola della trasmissione degli atti per indagare proprio su chi ricopre un ruolo di vertice nella procura pugliese. Argentino è a capo del pool che ha chiesto il rinvio a giudizio, tra l’altro, del presidente della Puglia, Nichi Vendola, nell’ambito delle indagini sulle emissioni inquinanti dello stabilimento Ilva. Vendola è accusato di concussione in concorso con i vertici dell’Ilva, per presunte pressioni sull’Arpa Puglia affinché «ammorbidisse» la pretesa di ridurre e rimodulare il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico. Attraverso quel - le presunte pressioni, Vendola - secondo la procura - avrebbe minacciato il direttore Arpa Giorgio Assennato, «inducendolo a più miti consigli», approfittando del fatto che Assennato fosse in scadenza di mandato e che rischiasse di non essere riconfermato. Accusa sempre respinta da Vendola.
Quindici anni di reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici chiesti dal pubblico ministero, scrive “Il Quotidiano di Puglia”. È un terremoto che si abbatte sul palazzo di giustizia di Taranto la sentenza che il Tribunale di Potenza ha pronunciato nei confronti dell’ex pubblico ministero della procura di Taranto Matteo Di Giorgio. Un terremoto anche perché i giudici potentini - competenti per i procedimenti che vedono coinvolti magistrati tarantini - hanno disposto la trasmissione degli atti alla Procura perché valuti la sussistenza del reato di falsa testimonianza a carico del procuratore aggiunto di Taranto, Pietro Argentino, e l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci, di Gallipoli.
Il Tribunale di Potenza ha condannato a 15 anni di reclusione l’ex pubblico ministero di Taranto, Matteo Di Giorgio, accusato di concussione e corruzione in atti giudiziari, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Come pena accessoria è stata disposta anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. La pubblica accusa aveva chiesto la condanna alla pena di 12 anni e mezzo. Il Tribunale di Potenza  (presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono coinvolti magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre inflitto la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta (Taranto) Italo D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino Pepe; 3 anni e 6 mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone, attuale comandante dei vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi a un imputato accusato di diffamazione. L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm, fu arrestato e posto ai domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni riguardano presunte minacce in ambito politico e ai danni di un imprenditore, altre per proteggere un parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un bar ritenuto dall’accusa completamente abusivo. Il magistrato secondo l'accusa, ha anche minacciato di un “male ingiusto” un consigliere comunale di Castellaneta, costringendolo a dimettersi per provocare lo scioglimento del Consiglio comunale e assumere una funzione di guida politica di uno schieramento. L'ex sindaco di Castellaneta ed ex parlamentare dei Ds Rocco Loreto, che presentò un dossier a Potenza contro il magistrato, e un imprenditore, si sono costituiti parte civile ed erano assistiti dall’avv. Fausto Soggia. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono cui l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino. Complessivamente il Tribunale ha trasmesso alla procura gli atti relativi alle testimonianze di 21 persone, quasi tutti carabinieri e poliziotti. Tra questi l’ex vicequestore della polizia di Stato Michelangelo Giusti.
Le indagini dei militari del nucleo operativo e della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Potenza coordinati dal pm Laura Triassi erano partite nel 2007, scrive “Il Quotidiano Web”. Lo spunto era arrivato dall'esposto di un ex assessore di Castellaneta, Vito Pontassuglia, che ha raccontato di aver spinto alle dimissioni un consigliere comunale, nel 2001, paventandogli un possibile arresto del figlio e del fratello per droga da parte del pm Di Giorgio. Quelle dimissioni che avrebbero causato le elezioni anticipate spianando la strada agli amici del pm, e a lui per l’incarico di assessore della giunta comunale. Gli interessi del magistrato nelle vicende politiche del paese avrebbero incrociato, sempre nel 2007, le ambizioni dell'ex senatore Rocco Loreto, un tempo amico di Di Giorgio, ma in seguito arrestato per calunnia nei suoi confronti, che si era candidato come primo cittadino. Di Giorgio è stato condannato anche al risarcimento dei danni subiti da Loreto, da suo figlio e da Pontassuglia. Per lui la richiesta dell'accusa si era fermata a 12 anni e mezzo di reclusione. Le motivazioni della decisione verranno depositate entro 90 giorni, ma non mi sorprende il fatto che esse conterranno il riferimento alla dubbia credibilità di imputati e testimoni. 
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996

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