lunedì 29 febbraio 2016

Giustizia, con la nuova legge scatta il turn over ai vertici. Va in pensione il Procuratore Generale di Benevento Dott.Maddalena

Giustizia, scatta il turn over ai vertici

La nuova legge sull’età pensionabile dei magistrati decapita alcuni fra i principali uffici giudiziari della regione. Entro fine dicembre dovranno lasciare l’incarico il presidente della Corte d’Appello di Napoli, Antonio Buonajuto, quello di Salerno, Matteo Casale, il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, Oscar Bobbio, quello del Tribunale di Sorveglianza, Carmineantonio Esposito, il procuratore generale di Salerno Lucio Di Pietro. Per la quinta commissione del Csm, presieduta dal “togato” napoletano Lucio Aschettino, si annunciano mesi di superlavoro con 200 nomine in tutta Italia.

Venerdì prossimo, alle 11.30, il saluto Buonajuto. Dopo sei anni, arriva al passo d’addio con senza amarezza: «Il rammarico c’è. La legge - commenta - mi ha tolto due anni durante i quali speravo di poter raccogliere i frutti di un lavoro che ho svolto con passione e impegno. Sono comunque soddisfatto perché, grazie alla collaborazione dei colleghi e nonostante le carenze di organico, abbiamo ridotto le pendenze nel settore civile e aumentato del 23 per cento la definizione dei processi penali».

Per la successione ci sono quattro nomi in pole position: l’attuale vicario della Corte, Giuseppe De Carolis, che attualmente presiede l’ottava sezione penale; Catello Marano, che guidò la Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere nel processo Spartacus; l’attuale presidente del Tribunale di Foggia Domenico De Facendis; il sostituto pg della Cassazione Immacolata Zeno. Per la Procura generale di Salerno (che da gennaio sarà guidata dall’avvocato generale Aldo De Chiara) sono candidati il procuratore di Campobasso, Armando D’Alterio, l’ex consigliere del Csm Leonida Primicerio e Antonio Gialanella, in corsa anche come avvocato generale a Napoli.

Per Torre Annunziata sono in lizza l’ex consigliere del Csm Ernesto Aghina, il presidente di sezione a Santa Maria Capua Vetere Maria Alaia e il presidente del Tribunale di Avezzano, Eugenio Forgillo. Per la Sorveglianza, fra gli altri, corrono due presidenti di Corte d’Assise: Adriana Pangia ed Eugenia Del Balzo. 

Il Csm dovrà nominare inoltre il nuovo procuratore di Benevento. 
Andato in pensione Giuseppe Maddalena, l’ufficio è diretto in questo momento dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo (della DDA -Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, n.d.r.)
Anche qui la partita sembra ristretta a tre candidati: il pm della Procura nazionale antimafia Maria Vittoria De Simone, il sostituto pg della Cassazione (già pm del pool anticamorra) Aldo Policastro e l’ex procuratore di Ariano Irpino Amato Barile.

Benevento. Il nuovo procuratore aggiunto di Benevento è Giovanni Conzo

Conzo, 48 anni, nato a Napoli, coniugato, con un figlio, ha prestato servizio prevalentemente nella città partenopea prima di ricoprire l’attuale incarico presso la Dda di Napoli. L'insediamento a settembre.

E' stato titolare di importanti inchieste sul clan dei Casalesi ed è pubblica accusa in processi contro mafiosi e criminali ambientali, è consulente della Commissione parlamentare antimafia e componente della commissione per incarichi professionali preso l’università Federico II. È autore tra l’altro anche di un libro «Mafie, carnefici, vittime e spettatori di un business che mortifica l’umanità».

Mercoledì 17 Giugno 2015, 22:29 
Da IL Vaglio

I 7 anni nella Procura della Repubblica di Benevento a guida Maddalena. Risultati ottenuti e limiti ancora da superare in quel luogo decisivo per le sorti del Sannio

di Carlo Panella

Ho voluto attendere che calasse l'eco - quella dei commiati ufficiali "a favor di stampa", tipica in casi simili - per scrivere sui sette anni a Benevento, da procuratore capo della Repubblica, di Giuseppe Maddalena, cominciati il 14 ottobre 2008 e terminati lo scorso 29 ottobre. 

Le parole che si leggono in queste circostanze, infatti, spesso sovrapponibili e sovrabbondanti di retorica (buone per ogni stagione), omologandoli, non possono che danneggiare quei - pochi - destinatari che hanno svolto bene il loro servizio pubblico, come appunto Maddalena. “Cantati” sull'uscio, dal solito melenso coro plaudente, di chi automaticamente dichiara e di chi meccanicamente riporta e s'aggiunge, hanno solo da perdere. 

Maddalena si è davvero distinto e il suo lasciare la Procura va colto, con sobrietà e rispetto, come un'occasione per un sereno e franco bilancio del molto che è riuscito a compiere, ma anche di quel che ancora rimane da fare. Anche perché non è scontato che il percorso compiuto prosegua nella stessa direzione, anzi la storia dice altro... 

L'ex procuratore capo Maddalena ha operato bene perché il suo passaggio ha fatto compiere all'Ufficio passi in avanti, uno in particolare e che, da solo, fa già pendere il piatto della bilancia in suo favore: è stata resa possibile una più ampia attuazione del sommo principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, nello specifico, di fronte ai possibili rigori della magistratura inquirente. 

I potenti e in particolare i politici - parlamentari (in carica e no), sindaci, assessori, amministratori pubblici, manager pubblici e privati, ricchi imprenditori – sono stati indagati e a volte sottoposti a giudizio. Più avanti verrò agli esiti di questo allargato raggio d'azione della pubblica accusa, ma il risultato della tangibilità del potere e dei potenti, la possibilità di essere incolpati di reità, ha rappresentato un notevole progresso in questa terra dove lo spirito della Rivoluzione Francese è passato come un sottile zefiro senza nulla sconvolgere. 

In passato, c'era già stato un più breve periodo (un triennio o poco più) in cui, nel Sannio per la prima volta, ciò era accaduto, parliamo di quando a guidare la Procura fu chiamato Daniele Cusani che, in pieno periodo di Tangentopoli, non risparmiò i potenti nelle indagini, politici locali e imprenditori nazionali. Poi nel 1993 andò, pure lui, in pensione e quindi... c'è voluto l'arrivo di Maddalena nel 2008... 
Ripetiamo: qui nulla è scontato o raggiunto una volta per tutte, anzi: questa è la terra dove il primo praticato comandamento è quieta non movere sed mota quietare (Non agitare ciò che è calmo, ma calma ciò che è agitato) ! 

Nessuno si senta al di sopra della legge 
Maddalena si era già distinto prima di venire a lavorare a Benevento, aveva allora già 42 anni di servizio e un'esperienza in contesti sociali molto più complessi. In questa terra, poi, ha innovato e certamente non gli è stato di ostacolo a farlo l'essere “forestiero”, un non sannita: è di Napoli. 

La Procura, con Maddalena alla guida, immediatamente, non ha mostrato deferenza verso i potenti e, quasi a dare l'esempio, ha cominciato col metterlo in pratica al proprio interno: un sostituto procuratore ha indagato, senza sconti e riservatamente come si doveva, un congiunto di un suo collega, pur lavorando con questi porta a porta, nello stesso piano in Via De Caro. 

Sottolineai, sul giornale che fondai e allora ancora dirigevo, con forza e immediatamente questo aspetto, in un editoriale, e non lesinai parole di sorpresa ammirazione e di speranza per questo raggio di sole che dal Palazzo di giustizia era promanato. Non ero stato ingannato, Maddalena ha continuato a guidare una Procura che ha indagato altri potenti, ancora più potenti... 

La “pacificazione” nell'Ufficio 
C'è poi un secondo aspetto positivo, tra i vari, che pure va rimarcato: l'aver “pacificato” una Procura che, quando Maddalena arrivò, non era proprio la più in armonia in Italia... In tale Ufficio, in questi sette anni anni, poi, c'è stato anche un ricambio: le carenze di organico sono state colmate mentre alcuni “pm” sono andati via. 
Un inciso: ho in sprezzo le dietrologie quanto i pettegolezzi, non m'intriga sapere se, effettivamente, i trasferimenti verso altre sedi di sostituti siano stati dagli stessi solo voluti, così come hanno ufficialmente dichiarato. Stiamo parlando di magistrati, che godono di totale libertà, ben avrebbero potuto (e dovuto), in caso contario, dire altro: mica ci stiamo rifererendo a dei lavoratori in nero del caporalato, costretti a tacere! 

Lasciamo da parte, quindi, le chiacchiere, quel che conta è che oggi si può registrare in quell'Ufficio, se non un clima da “Mulino bianco”, sicuramente anche un'età media molto bassa tra i sostituti procuratori (quasi tutte donne), circostanza che, spesso, è un vantaggio, perché la gioventù con la sua vigoria, col suo entusiasmo, con la sua intransigenza, è in ogni contesto una delle migliori risorse possibili. Maddalena, comunque, a seconda dei casi, tra i suoi sostituti ha dato spazio o ha contenuto, ha smussato o ha sollecitato, alla sua maniera: garbato nei modi, fermo nella sostanza. 

C'è ancora tanto da migliorare in Procura 
E vengo alla pars dolens, alla parte dolente, cioè, in particolare, a ciò che dell'azione della Procura, all'esterno, appare come il maggior limite. Spesso le inchieste giudiziarie sono lentissime e, non di rado, dopo tanto inquisire portano ad assoluzioni o, peggio, alla prescrizione dell'azione penale per decorrenza dei termini massimi di sottoposizione a indagine o a processo. Qui non è che l'ex procuratore abbia potuto avere la bacchetta magica senza usarla; questo limite è di quasi tutte le Procure italiane, ma noi con quella di Benevento abbiamo a che fare e di essa parliamo. 
Dicono i togati che non arrivano a operare in tempi ragionevoli per mancanza di mezzi e di personale. Anche ad ammetterlo, tale carenza è condizione notissima ai magistrati inquirenti quando avviano l'azione penale. 
Non la scoprono cammin facendo! 
E allora come si concilia questa amara consapevolezza con l'avvio, ad esempio, di macro inchieste, che si allargano come centri concentrici e che una volta arrivate al dunque (quelle che vi arrivano...), dopo almeno due anni di indagini, di proroga in proroga, non hanno possibilità di sfuggire alla prescrizione? 
Tale destino, solo per fare un paio di esempi, sembra segnato per il processo detto "Mani sulla città", sugli appalti del Comune di Benevento, giunto come una lumaca al dibattimento, o per quello (tanto esteso dall'aver poi richiesto la creazione di un pool di sostituti per provare a farvi fronte) sulla gestione dell'Asl, con i rispettivi illustri imputati o indagati. Lo chiediamo da profani: non era proprio possibile “segmentare”? 
Concentrarsi su alcune ipotesi di reato quelle che potevano apparire più rapidamente perseguibili e dimostrabili in dibattimento - ovemai tali reati fossero stati effettivamente commessi -, e farle poi resistere, al decorso del tempo, anche a Napoli in Appello ed eventualmente a Roma in Cassazione? 
Anziché farsi attrarre, come da una calamita, dal meccanismo a catena degli eventuali altri reati da scoprire ma, di conseguenza, sicuramente più difficili da provare? 

Questa mancanza di realistica selezione iniziale nell'indagine giudiziaria, con inconcludenza finale, comporta due opposti ma entrambi pessimi esiti. Da un lato si sottopongono delle persone, per molti anni, alle gravi conseguenze, sociali, finanziarie e psicologiche dell'essere inquisiti, per poi vedersi assolti (o addirittura, come in una beffa, vedersi chiedere l'assoluzione da un nuovo pm che ha ereditato l'inchiesta da un suo collega andato a lavorare altrove: è successo più volte). Dall'altro lato, si scoraggia sempre più nei cittadini la già poca fiducia nella possibilità che la legge possa ristabilire l'ordine che non il volgo ma una Procura della Repubblica ha ipotizzato violato al punto, talvolta, di chiedere anche l'adozione di misure cautelari o coercitive. 

Il buon senso dice che è molto più utile, nell'amministare il servizio-giustizia, mirare a portare, in tempi congrui, a sentenza almeno una di cinque – ad esempio - ipotesi di reato. Se poi si farà in tempo, si potrà provare a perseguire le altre quattro... Intanto, però, si sarà riusciti a condannare qualche reo e un minimo di azione dissuasiva dal violare la legge si sarà prodotta: a questo serve essenzialmente una Procura della Repubblica. 

In tal modo sarebbe più facile anche por fine all'interpretazione secondo la quale, data la farraginosità del processo penale italiano - che il legislatore ha così voluto per far salvi i potenti rendendo faticosissimo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna -, la vera (e sola possibile) pena che i magistrati inquirenti si sarebbero ridotti a far infliggere a un Gip, per una sorta di frustrazione, sia diventata la messa in stato di accusa dell'indagato (il rinvio a giudizio) magari in precedenza aggravata dall'adozione delle misure cautelari. 

Non si torni indietro, non ci si fermi, si prosegua 
Nel salutare e nel ringraziare, convintamente, a mia volta Giuseppe Maddalena per quanto ha fatto a Benevento e per lo stato d'avanzamento di cui è stato artefice in Procura, bandendo retorica e melassa che non gli fanno onore, ritengo invece opportuno cogliere questa occasione per rivolgermi a chi pro tempore è arrivato a svolgerne le funzioni, come Aggiunto, e a tutti gli altri magistrati di quell'Ufficio e chiedergli di continuare a procedere nel solco tracciato dall'ex procuratore capo e quindi di non arretrare o di non fermarsi. 
Non dimenticando che il Sannio, se non il primo, il più decisivo passo, per diventare più onesto, più civile, più progredito, più sviluppato potrà compierlo solo quando chi qui violerà la legge, a cominciare dai più potenti, saprà di avere anche alte probabilità di scontare per questa sua violazione una pena e quindi solo quando coloro che invece le leggi rispettano e sono onesti non saranno più considerati stolti o quasi costretti a sentirsi tali, a fronte dell'illegalità impunita, che non è un mondo a parte, ma rappresenta il brodo di coltura e l'alimento per i privilegi, i favoristismi e le sudditanze che ci trattengono così in basso, soffocandoci poco a poco.

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